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venerdì 16 novembre 2012

Diario di Pechino - seconda puntata









8 luglio 2011

E' venerdì pomeriggio. Sono rimasta sola in questo enorme campus. Le mie compagne di classe sono scappate via non appena ha suonato il campanello. Non le biasimo, nemmeno io vorrei un adulto tra i piedi durante il weekend. Ho pianto, mi sono lavata la faccia, ho pianto di nuovo e adesso sono calma.
Sono arrivata a Pechino tre giorni fa. Il viaggio è stato lungo ed estenuante ma mi aveva spronata quest'impresa non facile da portare avanti. Io sono talmente abituata alle imprese non facili; direi fin da quando mia madre mi portava in grembo.
Tuttavia le prime mosse sono state inaspettatamente facili, tanto che non mi ero nemmeno accorta di farle, salvo poi quasi addormentarmi in piedi, dopo aver così trascorso circa ventidue ore.
La mia compagna di stanza era oltremodo gentile, tanto che la notizia che per quasi tutto il mese avrebbe lasciato la camera tutta per me perché doveva fare un viaggio, per me non era un sollievo bensì un vero dispiacere. Separarmi da lei appena conosciutesi non mi sembrava fonte di gioia.
Le difficoltà si sono via via accumulate. Il cellulare non era abilitato per chiamate all'estero. Lo stesso cellulare prendeva sì internet ma non permetteva l'uso degli e-mail. Nel campus la maggior parte degli studenti usava il proprio computer, il mio l'ho lasciato appositamente a casa. La carta telefonica che avevo comprato andava bene per i cellulari, salvo per il mio. Un'altra carta telefonica con la quale avrei potuto chiamare all'estero dal telefono fisso in camera era introvabile.
Avevo parlato con mio figlio il giorno dopo l'arrivo e poi nulla. Nessuna notizia ricevuta, nessuna notizia inviata. Niente di niente. Bollivo dalla frustrazione. Intorno a me tutti si divertivano, si scambiavano e-mail, si mandavano sms, stavano ore col telefono all'orecchio. Tutti ma non io.

La notte che la mia compagna partiva avevo fatto un incubo: mio figlio teneva in braccio la mia gatta, Iris. Lei aveva il pelo arruffato ed era grande il doppio. Mi sono svegliata in piena notte col cuore in gola. Mi sono appisolata ed ecco che un brutto ceffo tentava di aprire la portiera della mia macchina. Io avevo schiacciato il bottone di sicurezza ma lui lo aveva aperto lo stesso e mi aveva costretta ad uscire. La trama proseguiva poi in un albergo dove la polizia aveva acciuffato i ladri che alla fine erano diventati tre, due uomini e una donna. Insomma non è stata una notte facile.

C'è stato un altro lungo giorno senza che riuscissi a sentire i miei cari, ma oggi, dopo aver trafficato un ulteriore ora e mezza nell'internet caffè, mi si è aperta la pagina della mia posta e quando ho letto la prima mail di mio figlio una lacrima mi è spuntata senza che me ne accorgessi.

E' sera. Oggi avevo parlato con X e con Y, avevo parlato con mia sorella in Ungheria. Adesso potrò farcela.

Sono andata fuori a cena. In principio ero indecisa tra andare fuori o restare a consumare la cena tutta sola in camera. In ogni caso al super ci dovevo andare, tanto valeva proseguire.
Lungo la strada una miriade di situazioni umane: quelle tristi e depresse della gente che s'affretta a rientrare in casa dopo aver comprato le ultime cose; il nonno che raccatta da terra un lungo pezzo di spago di nylon con cui trascinare il nipotino in groppa al triciclo; giovani e giovanissimi vestiti o malapena coperti di qualche pezzo di stoffa, spensierati, soli o in gruppo; madri con figlie; madri giovani e vecchie, una coppia di anziani ... mentre li sorpasso improvvisamente mi ricordo di pagine della loro storia recente di convulsioni politiche e di guerre; poi ancora anziani e poi gente che traffica con ogni sorta di cosa in mezzo alla strada; poi file di biciclette specie di bici con pedana portapacchi dalle dimensioni inimmaginabili e poi auto e taxi che vanno in ogni direzione quando il semaforo è verde ma anche quando è rosso ed è un miracolo che non succeda mai niente.
E poi c'è il sottoponte male illuminato dove a quell'ora smontano uno specie di mercatino dell'usato di soli mobili, per lo più divani.

Quattro delle più grandi università di Pechino si trovano su questa viale che, non a caso, si chiama xueyuanlu, vale a dire: viale delle università.
Superate tutte quante arrivo al mio quartiere preferito che è riuscito ad evitare la demolizione propagatasi in occasione delle costruzioni per le Olimpiadi del 2008. Qualche trasformazione era stata inevitabile ma è ancora un quartiere bello e vivace. Il mio è un ristorante semplice dal servizio molto “yiban”, cioè ordinario. A me, però, piace per la tranquillità che si respira, per il cibo buono ad un prezzo più che buono e per quello che si vede dalla finestra mentre si mangia.
La gente che passeggia sotto la finestra è decisamente poco formale, l'età media s'alza leggermente, si accoglie sprazzi di discorsi delle passeggiate dopocena concesse per digerire e per tirare tardi. Vedo persino un uomo in pigiama a braccetto con la moglie vestita normalmente. Guardare fuori dalla finestra significa anche essere guardati dalla strada, specie se sei uno straniero, è un piacere reciproco.

A pancia piena il rientro sembra molto più lungo. Mentre cenavo la sera è calata portando un buio pesto. Qui non ci sono tante luci, il minimo indispensabile. I venditori di mobili non ci sono più, trovo invece un carrellino di frutta e un altro di libri. Tra leggere e mangiare ognuno trova il suo, a quanto pare.

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