16 luglio 2011 Datong
Sono in un albergo a quattro stelle -
dalle stalle (mongole) alle stelle (quattro) di Datong -, mi sono
fatta la doccia e sto bevendo il secondo caffè da quando sono
qui. Dunque sto gustando un indecente caffè liofilizzato ma la
sola idea che sia gratis me la fa piacere subito. Sono scompagnata
(era la cosa che più temevo in questo viaggio), non perché
sono brutta, vecchia e cattiva ma semplicemente perché c'è
chi sta peggio di me. Io almeno me la cavo in ogni situazione. La mia
compagna di turno è giapponese. Le avevo lasciato scegliere il
letto a lato finestra ma poi la prima doccia era per me. Dunque il
caffè fa schifo. Mi piacerebbe correggerlo con la grappa dei
mongoli. Ce l'avevano fatta assaggiare ieri e io oggi, dopo la
sfacchinata matutina, me la sono comprata.
Nel programma di quelli che andavano a
cavallo per non meno di due ore era prevista una visita al vicino
villaggio mongolo. Io avevo portato con me una canotta nuova, troppo
piccola per me, con l'intenzione di sbarattarla con qualcosa di loro.
Una cosa qualsiasi, purché fosse fatta da loro. Mentre gli
altri partivano a cavallo – per me di cavalcare non se ne parla,
primo perché non ci provo gusto, secondo perché mi fa
venire mal di schiena – dunque io e i miei compagni che avevo
tirato in ballo li seguivamo a piedi.
Sarà perché la sera prima
un gruppo di turisti aveva fatto arrabbiare gli organizzatori, sarà
per qualche altro motivo, fatto sta che del villaggio non v'era
neanche ombra. Avevamo dovuto accontentarci di due belle tende
mongole allestite a bella posta per i turisti e di una giovane donna
in costume tradizionale. Ci avevo impiegato metà di un secondo
per capire che era questo di cui si trattava e per reprimere la mia
crescente delusione avevo preso il regalo (la canotta) e l'avevo
messa in mano alla mongola tradizionalista. Lei non capiva cosa
stesse succedendo ma poi per l'educazione l'aveva presa e mentre a
tatto cercava di capire il contenuto del sacchettino di plastica mi
aveva detto un bel grazie e poi l'aveva subito messa via. La
tradizione cinese trova infatti di cattivo gusto aprire i regali
subito come se si volesse verificarne il valore.
Più tardi avevo cercato di
chiederle della grappa locale, se c'era qualcuno che la vendeva, ma
in quelle lande deserte, seppur stupende, non c'era nessuno che
raccogliesse la frutta per farne della grappa e per bersela. Avevo
fatto tutta sta strada per andare a finire di comprare la grappa
industriale al chiosco per turisti.
Ora la stanza dove scrivo è d'un
hotel a quattro stelle, ai piedi le belle pantofole imbottite
dell'albergo, in bocca ancora il sapore del caffè appena
bevuto. Ormai ho poche illusioni, nutro poca speranza di assaporare
qualcosa di autentico in questa Datong che nove anni fa non avevo
potuto visitare.
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