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sabato 12 gennaio 2013

Diario di Pechino - ottava puntata




16 luglio 2011 Datong

Sono in un albergo a quattro stelle - dalle stalle (mongole) alle stelle (quattro) di Datong -, mi sono fatta la doccia e sto bevendo il secondo caffè da quando sono qui. Dunque sto gustando un indecente caffè liofilizzato ma la sola idea che sia gratis me la fa piacere subito. Sono scompagnata (era la cosa che più temevo in questo viaggio), non perché sono brutta, vecchia e cattiva ma semplicemente perché c'è chi sta peggio di me. Io almeno me la cavo in ogni situazione. La mia compagna di turno è giapponese. Le avevo lasciato scegliere il letto a lato finestra ma poi la prima doccia era per me. Dunque il caffè fa schifo. Mi piacerebbe correggerlo con la grappa dei mongoli. Ce l'avevano fatta assaggiare ieri e io oggi, dopo la sfacchinata matutina, me la sono comprata.

Nel programma di quelli che andavano a cavallo per non meno di due ore era prevista una visita al vicino villaggio mongolo. Io avevo portato con me una canotta nuova, troppo piccola per me, con l'intenzione di sbarattarla con qualcosa di loro. Una cosa qualsiasi, purché fosse fatta da loro. Mentre gli altri partivano a cavallo – per me di cavalcare non se ne parla, primo perché non ci provo gusto, secondo perché mi fa venire mal di schiena – dunque io e i miei compagni che avevo tirato in ballo li seguivamo a piedi.

Sarà perché la sera prima un gruppo di turisti aveva fatto arrabbiare gli organizzatori, sarà per qualche altro motivo, fatto sta che del villaggio non v'era neanche ombra. Avevamo dovuto accontentarci di due belle tende mongole allestite a bella posta per i turisti e di una giovane donna in costume tradizionale. Ci avevo impiegato metà di un secondo per capire che era questo di cui si trattava e per reprimere la mia crescente delusione avevo preso il regalo (la canotta) e l'avevo messa in mano alla mongola tradizionalista. Lei non capiva cosa stesse succedendo ma poi per l'educazione l'aveva presa e mentre a tatto cercava di capire il contenuto del sacchettino di plastica mi aveva detto un bel grazie e poi l'aveva subito messa via. La tradizione cinese trova infatti di cattivo gusto aprire i regali subito come se si volesse verificarne il valore.

Più tardi avevo cercato di chiederle della grappa locale, se c'era qualcuno che la vendeva, ma in quelle lande deserte, seppur stupende, non c'era nessuno che raccogliesse la frutta per farne della grappa e per bersela. Avevo fatto tutta sta strada per andare a finire di comprare la grappa industriale al chiosco per turisti.

Ora la stanza dove scrivo è d'un hotel a quattro stelle, ai piedi le belle pantofole imbottite dell'albergo, in bocca ancora il sapore del caffè appena bevuto. Ormai ho poche illusioni, nutro poca speranza di assaporare qualcosa di autentico in questa Datong che nove anni fa non avevo potuto visitare.

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