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sabato 23 febbraio 2013

Quattordicesima puntata - Diario di Pechino

22 luglio 2011 – Pechino

Ieri ero tornata dalla discoteca alle quattro. Non mi ero accorta di aver ballato per ore. Mi sentivo talmente a mio agio, la stanchezza era volata via.

Nel locale la luce era al minimo. Tuttavia si distingueva un bell'uomo da uno brutto come pure una bella ragazza giovane da una come me. Eppure sono stata coinvolta in balli a due a più riprese, ho sentito il battito cardiaco del ragazzo cinese, ho strusciato fondoschiena contro fondoschiena con un altro ragazzo orientale e con quello africano. Ho sentito il divertimento puro ma anche l'agressività del cinese respinto, ho persino avuto paura. Tutto nero nella sala nera, gli occhi due fessure, movimenti completamente fuori tempo, eppure per un attimo mi sono trovata proiettata nella mia stessa giovinezza.

A casa, dopo la doccia, non riuscii a prendere sonno e così, tirato fuori “Tokyo blues”, mi ero messa a leggere per un po. Dormii facendo sogni strani e poi, durante il giorno, fino a quando non partimmo per questa esplorazione, non mi sentii a posto.

Il programma era concentrato sull'Art Gallery all'aperto, in un'area industriale dismessa. (Io veramente speravo di ritrovare quella situazione in cui, anni fa, riuscivo a portare via un bel quadro per pochi soldi. Il quadro lo ammiro tutti i gironi, essendo appeso vicino al mio letto.)

Il tempo era pessimo. Non pioveva ma era piuttosto buio e si poteva spremere la nebbia per farne uscire l'acqua. Io grondavo di sudore. Le esposizioni erano uno più diverso dall'altro, senza un filo conduttore, alcuni erano addirittura geniali, altri erano poco più che una bottega di artigianato di basso livello. V'erano dei quadri enormi, coloratissimi stile Kokoscka, altri metafisici, altri ancora postmoderni.

Avendo mangiato poco, camminato tanto, eravamo piuttosto distrutti quando finalmente siamo arrivati a casa. Mangiato una banana, fatto la doccia, mi ero concesso un'oretta di lettura. Quando poi uscii per cena, s'aggregarono due amici pachistani che per tutto il tragitto non facevano che farmi domande sull'Italia. Era tardissimo, a giudicare dai crampi allo stomaco, quando finalmente arrivammo davanti al locale di loro gusto.

Dopo cena il ritorno a casa sembrava di nuovo interminabile. Entra in un cortile, esci dal cortile, viale a destra, viale a sinistra, bambini che scorrazzavano sulle loro skateboard nuove, innamorati mano nella mano, noi tre soli a parlare di politica nella notte buia.


2 commenti:

  1. Letto!!! hai descritto perfettamente il racconto dal vivo che mi avevi fatto poco tempo dopo essere rientrata da Pechino, quando i tuoi ricordi e sensazioni erano freschissime...la tua voglia di ballare e lasciarti andare e la tua sensazione di essere al posto giusto, con la musica che ti scorreva dentro il sangue in movimento con il tuo corpo, non ricordavo invece il passaggio della paura che hai scritto di aver provato, quella no, ma può darsi che il ricordo ti sia emerso in seguito...o a me è sfuggito questo particolare nel racconto verbale...in tutti i racconti alterni la solitudine che senti materializzarsi a poi sensazioni che ti hanno riempito i sensi, dev'essere un mondo veramente strano, dove si cercano passaggi d'ombrello (racconto precedente) e condivisioni di caffè illy (altro racconto)

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  2. Mi dispiace, non mi ero accorta del tuo commento. Meglio tardi che mai!!!
    Mi ha colpito il fatto che la sensazione di paura non sia rimasta registrata quando te ne avevo parlato, oppure che io volutamente o involontariamente l'abbia tralasciato.
    Concordo: è davvero un mondo strano, trovarsi in mezzo a una porzione del miliardo e due di cinesi e sentirsi disperatamente soli è cosa di un attimo.

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