sabato 10 novembre 2012

Diario di Pechino 2011

Diario di Pechino  - prima puntata - a lato: simbolo della compagnia aerea disegnata durante il volo

4 luglio 2011 ore 14 di Milano
Siamo partiti con quaranta minuti di ritardo a causa di “eccessivo traffico”. In quei quaranta minuti non ho visto decollare né atterrare alcun aereo. Ma forse ero distratta.
Passati i quaranta minuti siamo decollati, uno dopo l'altro, cinque aerei in pochi minuti.
Il cielo era azzurro opaco. I tre motori sotto l'ala che vedevo dall'oblò diventarono color giallo-oro, un attimo dopo erano rossi per poi cambiare velocissimamente colore: prima rosa e poi grigi. Un tramonto veloce.
Aeroporto di Doha, sera
Ho girovagato per oltre mezz'ora. Non me la sentivo di fare delle compere al duty free, mi mancava la forza e l'energia per farlo. Era presto; avevo oltre cinque ore davanti a me. Il mio volo per Pechino partiva all'una di notte.
Cenare non avevo voglia. Il pranzo l'avevano servito durante il volo dopo le due e mezza quando dalla fame non riuscivo a star ferma. La colazione risaliva addirittura a un'altra epoca, difficile da ricordare.
Niente cena, dunque, almeno per il momento. Dalla galleria avevo intravvisto un paio di turbanti e relativi abiti di un bianco splendente. I signori erano seduti al bar che si trovava più lontano. Subito m'era venuta voglia di andarci. I tavolini in marmo, le sedie imbottite, legno e tappezzerie – tutto era così diverso dal resto. L'aeroporto è il più immenso che abbia mai visto, moderno e del tutto anonimo. Questo piccolo bar era un'eccezione preziosa.
Avevo ordinato un fruit-salad, giusto pronto per il mio palato arso e stavo infilzando il primo boccone di anguria con la forchettina quando avevo visto il prezzo: ventisette euro. Lo sapevo perché avevo prudentemente domandato alla cassa se accettavano l'euro; sì l'accettavano.
Non volevo fare la solita figura da spilorcia ma ventisette euro sono troppi, così l'avevo rifiutato domandando alla cassiera: “Are you sure it costs twentyseven euro?” L'enghippo s'è presto sciolto, il prezzo tradotto era meno di sette euro, così ho rincuorato il giovane cameriere che mi ha riportato il povero piatto.
Aeroporto di Doha, più tardi
Devo aver lasciato due euro di mancia per sbaglio, tenendomi la banconota locale di nessunissimo valore. Sarà stato questo e la mia borsa nepalese new age, fatto sta che un cameriere, si seppe poi che era nepalese, mi aveva dato una dritta: se la coincidenza era così tardi la notte si aveva diritto alla cena gratis. Sarei andata comunque in quella mensa in ogni caso perché servivano delle pietanze dall'aspetto rassicurante. Così, in più, avevo cenato gratis: riso brasmati a volontà e fettine di manzo (poche) in una salsa piccante buonissima, tale che avevo fatto fuori la quantità industriale di riso che m'avevano dato.
Non avevo più una lira locale ma desideravo tanto di scolarmi una bottiglietta di birra analcolica che servivano in quel bar dall'aspetto intimo. Dovevo assolutamente arrivare alle undici – undici e mezzo prima di lasciarmi andare sulle poltrone del mio gate. Erano soltanto le nove meno un quarto, ancora due ore e mezzo e intanto sentivo avanzare l'idea poco confortante del sonno.
Per fortuna anche all'ora della mia partenza ci saranno diversi voli. Dal mio gate partiva uno per Hanoi alla una.
Sotto il finestrone della mensa i pullman vomitano turisti in arrivo. E' una città questa, non un aeroporto. All'improvviso non ho per niente sonno. Fuori ci sono quaranta gradi precisi-precisi, qui dentro a malapena s'arriva a venti. Ho messo lo scialle sulle spalle. Tra la borsa nepalese e lo scialle pachistano (Made in China) sono ben inserita nella fauna presente. Mamme col velo integrale che sgridano le figlie piccole, vestite all'occidentale. Chissà con che occhiata sgridano le figlie quando per gli occhi non vi è che una fessura. Fossi io la bambina le farei delle pernacchie.
Il mio vicino di tavolo è pachistano: naso preciso, occhi che ti risucchiano l'anima. Capelli con la brillantina o senza – sembra non faccia differenza. Ci scambiamo pochi frasi e me ne vado, mi troverà lui più tardi mandandomi un saluto con la mano da lontano. Ha il mio email.
Aeroporto di Doha, più tardi
Alla fine la macchina fotografica l'ho comprata lo stesso. Forse non era il tipo giusto ma era in offerta con più megapixel, memoria in omaggio... , insomma l'ho comprata e basta.
Mancano ancora troppe ore.
La birra più che analcolica sembra un succo. Un succo di frutta con la schiuma. Bello schifo. Pazienza, me la scolo e poi mi fiondo nella camera buia dove ci sono i chez-longue.
Aeroporto di Doha, 5 luglio
Fatto il boarding l'autobus s'affretta verso il nostro velivolo che però non c'è o almeno così mi sembra. Un po' spaventata mi rivolgo agli altri ma loro ci ridono sopra: l'aeroporto è talmente vasto che per arrivare all'aeroplano avrei fatto sei-sette fermate con la cinquanta. Non avrei mai immaginato che l'indomani a Pechino avrei preso lo shuttle per andare a ritirare i bagagli. Non si finisce mai di imparare.



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