Oltre all'amore per i racconti, dentro di me è nato, anno dopo anno, l'amore per i diari. Il primo, un quaderno rilegato in tessuto color verde scuro, fatto a mano da mia sorella, mi è stato regalato all'età di 15 anni. Allora studiavo stenografia e, per non far scoprire da nessuno della mia numerosissima famiglia cosa c'era scritto, usavo spesso la stenografia.
Il diario per eccellenza è il diario di viaggio. L'ultimo in termini di tempo è giusto quello che mi ha portata ad aprire questo blog; il Diario di Pechino.
Eccolo:
Prima puntata:
4 luglio 2011 ore 14 di Milano
Siamo partiti con quaranta minuti di ritardo a causa di “eccessivo traffico”. In quei quaranta minuti non ho visto decollare né atterrare alcun aereo. Ma forse ero distratta. Passati i quaranta minuti siamo decollati, uno dopo l'altro, cinque aerei in pochi minuti.
Il cielo era azzurro opaco. I tre motori sotto l'ala che vedevo dall'oblò diventarono color giallo-oro, un attimo dopo erano rossi per poi cambiare velocissimamente colore: prima rosa e poi grigi. Un tramonto veloce.
Aeroporto di Doha, sera
Ho girovagato per oltre mezz'ora. Non me la sentivo di fare delle compere al duty free, mi mancava la forza e l'energia per farlo. Era presto; avevo oltre cinque ore davanti a me. Il mio volo per Pechino partiva all'una di notte.
Cenare non avevo voglia. Il pranzo l'avevano servito durante il volo dopo le due e mezza quando dalla fame non riuscivo a star ferma. La colazione risaliva addirittura a un'altra epoca, difficile da ricordare.
Niente cena, dunque, almeno per il momento. Dalla galleria avevo intravvisto un paio di turbanti e relativi abiti di un bianco splendente. I signori erano seduti al bar che si trovava più lontano. Subito m'era venuta voglia di andarci. I tavolini in marmo, le sedie imbottite, legno e tappezzerie – tutto era così diverso dal resto. L'aeroporto è il più immenso che abbia mai visto, moderno e del tutto anonimo. Questo piccolo bar era un'eccezione preziosa.
Avevo ordinato un fruit-salad, giusto pronto per il mio palato arso e stavo infilzando il primo boccone di anguria con la forchettina quando avevo visto il prezzo: ventisette euro. Lo sapevo perché avevo prudentemente domandato alla cassa se accettavano l'euro; sì l'accettavano.
Non volevo fare la solita figura da spilorcia ma ventisette euro sono troppi, così l'avevo rifiutato domandando alla cassiera: “Are you sure it costs twentyseven euro?” L'enghippo s'è presto sciolto, il prezzo tradotto era meno di sette euro, così ho rincuorato il giovane cameriere che mi ha riportato il povero piatto.
Aeroporto di Doha, più tardi
Devo aver lasciato due euro di mancia per sbaglio, tenendomi la banconota locale di nessunissimo valore. Sarà stato questo e la mia borsa nepalese new age, fatto sta che un cameriere, si seppe poi che era nepalese, mi aveva dato una dritta: se la coincidenza era così tardi la notte si aveva diritto alla cena gratis. Sarei andata comunque in quella mensa in ogni caso perché servivano delle pietanze dall'aspetto rassicurante. Così, in più, avevo cenato gratis: riso brasmati a volontà e fettine di manzo (poche) in una salsa piccante buonissima, tale che avevo fatto fuori la quantità industriale di riso che m'avevano dato.
Non avevo più una lira locale ma desideravo tanto scolarmi una bottiglietta di birra analcolica che servivano in quel bar dall'aspetto intimo. Dovevo assolutamente arrivare alle undici – undici e mezzo prima di lasciarmi andare sulle poltrone del mio gate. Erano soltanto le nove meno un quarto, ancora due ore e mezzo e intanto sentivo avanzare l'idea poco confortante del sonno.
Per fortuna anche all'ora della mia partenza ci saranno diversi voli. Dal mio gate partiva uno per Hanoi al'una.
Sotto il finestrone della mensa i pullman vomitano turisti in arrivo. E' una città questa, non un aeroporto. All'improvviso non ho per niente sonno. Fuori ci sono quaranta gradi precisi-precisi, qui dentro a malapena s'arriva a venti. Ho messo lo scialle sulle spalle. Tra la borsa nepalese e lo scialle pachistano (Made in China) sono ben inserita nella fauna presente. Mamme col velo integrale che sgridano le figlie piccole, vestite all'occidentale. Chissà con che occhiata sgridano le figlie quando per gli occhi non vi è che una fessura. Fossi io la bambina le farei delle pernacchie.
Il mio vicino di tavolo è pachistano: naso preciso, occhi che ti risucchiano l'anima. Capelli con la brillantina o senza – sembra non faccia differenza. Ci scambiamo poche frasi e me ne vado, mi troverà lui più tardi mandandomi un saluto con la mano da lontano. Ha il mio email.
Aeroporto di Doha, più tardi
Alla fine la macchina fotografica l'ho comprata lo stesso. Forse non era il tipo giusto ma era in offerta con più megapixel, memoria in omaggio... , insomma l'ho comprata e basta.
Mancano ancora troppe ore.
La birra più che analcolica sembra un succo. Un succo di frutta con la schiuma. Bello schifo. Pazienza, me la scolo e poi mi fiondo nella camera buia dove ci sono i chez-longue.
Aeroporto di Doha, 5 luglio
Fatto il boarding l'autobus s'affretta verso il nostro velivolo che però non c'è o almeno così mi sembra. Un po' spaventata mi rivolgo agli altri ma loro ci ridono sopra: l'aeroporto è talmente vasto che per arrivare all'aeroplano avrei fatto sei-sette fermate con la cinquanta. Non avrei mai immaginato che l'indomani a Pechino avrei preso lo shuttle per andare a ritirare i bagagli. Non si finisce mai di imparare.
Seconda puntata:
8 luglio 2011
E' venerdì pomeriggio. Sono rimasta sola in questo enorme campus. Le mie compagne di classe sono scappate via non appena ha suonato il campanello. Non le biasimo, nemmeno io vorrei un adulto tra i piedi durante il weekend. Ho pianto, mi sono lavata la faccia, ho pianto di nuovo e adesso sono calma.
Sono arrivata a Pechino tre giorni fa. Il viaggio è stato lungo ed estenuante ma mi aveva spronata quest'impresa non facile da portare avanti. Io sono talmente abituata alle imprese non facili; direi fin da quando mia madre mi portava in grembo.
Tuttavia le prime mosse sono state inaspettatamente facili, tanto che non mi ero nemmeno accorta di farle, salvo poi quasi addormentarmi in piedi, dopo aver così trascorso circa ventidue ore.
La mia compagna di stanza era oltremodo gentile, tanto che la notizia che per quasi tutto il mese avrebbe lasciato la camera tutta per me perché doveva fare un viaggio, non era un sollievo bensì un vero dispiacere. Separarmi da lei appena conosciutesi non mi sembrava fonte di gioia.
Le difficoltà si sono via via accumulate. Il cellulare non era abilitato per chiamate all'estero. Lo stesso cellulare prendeva sì internet ma non permetteva l'uso degli e-mail. Nel campus la maggior parte degli studenti usava il proprio computer, il mio l'ho lasciato appositamente a casa. La carta telefonica che avevo comprato andava bene per i cellulari, salvo per il mio. Un'altra carta telefonica con la quale avrei potuto chiamare all'estero dal telefono fisso in camera era introvabile.
Avevo parlato con mio figlio il giorno dopo l'arrivo e poi nulla. Nessuna notizia ricevuta, nessuna notizia inviata. Niente di niente. Bollivo dalla frustrazione. Intorno a me tutti si divertivano, si scambiavano e-mail, si mandavano sms, stavano ore col telefono all'orecchio. Tutti ma non io.
La notte che la mia compagna partiva avevo fatto un incubo: mio figlio teneva in braccio la mia gatta, Iris. Lei aveva il pelo arruffato ed era grande il doppio. Mi sono svegliata in piena notte col cuore in gola. Mi sono appisolata ed ecco che un brutto ceffo tentava di aprire la portiera della mia macchina. Io avevo schiacciato il bottone di sicurezza ma lui lo aveva aperto lo stesso e mi aveva costretta ad uscire. La trama proseguiva poi in un albergo dove la polizia aveva acciuffato i ladri che alla fine erano diventati tre, due uomini e una donna. Insomma non è stata una notte facile.
C'è stato un altro lungo giorno senza che riuscissi a sentire i miei cari, ma oggi, dopo aver trafficato un ulteriore ora e mezza nell'internet caffè, mi si è aperta la pagina della mia posta e quando ho letto la prima mail di mio figlio una lacrima mi è spuntata senza che me ne accorgessi.
E' sera. Oggi avevo parlato con X e con Y, avevo parlato con mia sorella in Ungheria. Adesso potrò farcela.
Sono andata fuori a cena. In principio ero indecisa tra andare fuori o restare a consumare la cena tutta sola in camera. In ogni caso al super ci dovevo andare, tanto valeva proseguire.
Lungo la strada una miriade di situazioni umane: quelle tristi e depresse della gente che s'affretta a rientrare in casa dopo aver comprato le ultime cose; il nonno che raccatta da terra un lungo pezzo di spago di nylon con cui trascinare il nipotino in groppa al triciclo; giovani e giovanissimi vestiti o malapena coperti di qualche pezzo di stoffa, spensierati, soli o in gruppo; madri con figlie; madri giovani e vecchie, una coppia di anziani ... mentre li sorpasso improvvisamente mi ricordo di pagine della loro storia recente di convulsioni politiche e di guerre; poi ancora anziani e poi gente che traffica con ogni sorta di cosa in mezzo alla strada; poi file di biciclette specie di bici con pedana portapacchi dalle dimensioni inimmaginabili e poi auto e taxi che vanno in ogni direzione quando il semaforo è verde ma anche quando è rosso ed è un miracolo che non succeda mai niente.
E poi c'è il sottoponte male illuminato dove a quell'ora smontano uno specie di mercatino dell'usato di soli mobili, per lo più divani.
Quattro delle più grandi università di Pechino si trovano su questa viale che, non a caso, si chiama xueyuanlu, vale a dire: viale delle università.
Superate tutte quante arrivo al mio quartiere preferito che è riuscito ad evitare la demolizione propagatasi in occasione delle costruzioni per le Olimpiadi del 2008. Qualche trasformazione era stata inevitabile ma è ancora un quartiere bello e vivace. Il mio è un ristorante semplice dal servizio molto “yiban”, cioè ordinario. A me, però, piace per la tranquillità che si respira, per il cibo buono ad un prezzo più che buono e per quello che si vede dalla finestra mentre si mangia.
La gente che passeggia sotto la finestra è decisamente poco formale, l'età media s'alza leggermente, si accoglie sprazzi di discorsi delle passeggiate dopocena concesse per digerire e per tirare tardi. Vedo persino un uomo in pigiama a braccetto con la moglie vestita normalmente. Guardare fuori dalla finestra significa anche essere guardati dalla strada, specie se sei uno straniero, è un piacere reciproco.
A pancia piena il rientro sembra molto più lungo. Mentre cenavo la sera è calata portando un buio pesto. Qui non ci sono tante luci, il minimo indispensabile. I venditori di mobili non ci sono più, trovo invece un carrellino di frutta e un altro di libri. Tra leggere e mangiare ognuno trova il suo, a quanto pare.
Terza puntata:
Biglietti d'ingresso a Yi He Yuan (Palazzo d'Estate):
9 luglio 2011
Per la prima volta ho dormito a lungo. Mi ero svegliata alle due di notte, poi subito riaddormentata. Sono le nove passate quando finalmente mi alzo.
Solitamente sono sbrigativa, non perdo tempo nel fare le cose. Qui è diverso. Vado avanti e indietro tra la camera e il bagno e tra la camera e il balcone. Tiro fuori una cosa dall'armadio poi di nuovo vado a prendere un'altra cosa. Frugo nella borsa alla ricerca di qualcosa che poi dimentico e quindi torno a prenderne un'altra. Sento che tutto il mio essere ha bisogno di tutto questo tran-tran per abituarsi a qualcosa che non riesco a decifrare. Perdo un'ora e mezza prima di riuscire ad uscire.
Per prima cosa devo sistemare la faccenda del telefonino. E ' nuovo e non sono ancora riuscita a fare una telefonata. Una voce diceva che la scheda non era abilitata alle chiamate internazionali, nemmeno utilizzando le carte telefoniche.
Nel negozio il mio venditore é impegnato con dei clienti ma mi da retta lo stesso. Dopo diverse telefonate viene fuori la proposta definitiva: devo comprare da loro una scheda prepagata specifica e con quello dovrei farcela. Non ho i 200 yuan con me e con ciò la faccenda è rimandata all'indomani.
In borsa ho si e no 70 yuan. Prendo l'autobus e arrivo a Yiheyuan. L'entrata costa 60 yuan. Provo a mostrare la mia tessera universitaria et voila: il costo ora è 15 yuan. Sono contenta come pochi.
Nel parco ci sono tanti edifici. Ovunque esseri umani eccitati e sudati. Donne, uomini, bambini. File alle casse. Guide turistiche col microfono. Passeggini e palloncini. Tutine e cappellini. Tutti vestiti a festa.
Sono fortunata. A Pechino, in questa città di caldo e di smog, è difficile vedere un cielo azzurro d'estate. Eppure da quando sono qui, a parte il primissimo giorno, il cielo sereno resiste. Soffia un venticello fresco dal lago e si sta proprio bene sulla prua del battellino. E' solo dopo che, ad onta del venticello, sono costretta a versarmi l'acqua sulla testa per resistere.
Uno dopo l'altro visito tutti i luoghi d'obbligo. Ad un certo punto di nuovo mi sfiora l'alito della loro millenaria storia. Sono seduta su un muretto, leggermente appartata. Sulla mia sinistra un tortuoso sentiero di pietra costeggia il muro del palazzo. Intorno diversi edifici minori nei loro cortili. All'improvviso vedo una serva passare furtivamente per andare ad incontrare il suo signore, suo amante, nel cortile antistante.
Passata la visione mi fermo a pensare come doveva essere regolamentata la loro vita in ogni minuscolo aspetto. Ogni cosa al suo posto. Forse anche troppo regolamentata per i gusti dei nostri tempi.
Quarta puntata:
11 luglio 2011
Ieri finalmente mi sono connessa con il resto del mondo, almeno via cellulare. E' stata una grande conquista per me ottenuta grazie alla mia tenacia e caparbietà.
Nel negozio di China Mobile erano in tre a servirmi. Per prima cosa avrebbero voluto spedirmi nel vicino negozio di China Telecom ma io avevo ribadito, con un cinese stentato, che se il giorno prima lui personalmente m'aveva promesso di risolvere il problema non appena avessi portato i 200 yuan richiesti per l'abilitazione della carta, il giorno dopo non poteva spedirmi chissà dove ma doveva darsi da fare e subito. Alla fine ero riuscita ad avere persino un memory card per le foto con lo sconto del 50%, cosa inaudita per quel tipo di merce.
Dunque potevo telefonare.
Per prima avevo chiamato mia sorella in Ungheria che non sentivo da prima della partenza. Lei mi aveva richiamata utilizzando una sua carta telefonica, la stessa che usava per chiamarmi in Italia, praticamente gratis. In quella mezz'ora consentita dal suo credito disponibile avevo cercato di raggiungere la velocità massima ad onta del clima che inibisce ogni cosa che faccio. Le avevo raccontato delle lacrime alla vista del mail di mio figlio, le avevo parlato delle mie difficoltà tralasciando solo il fatto che m'era venuta pure la diarrea parsa poco importante al momento.
Oggi quando mi chiamerà di nuovo (me l'ha promessa) la prima cosa che le dirò è che sono stata costretta ad andare in farmacia. Diarrea a tutto gas - iniziavo a preoccuparmi. Grazie a Dio e alle grosse quantità di medicine che ho preso, pare che il problema sia in via di risoluzione.
Quinta puntata:
13 luglio 2011
Un'altra mattinata di scuola. Dopo un pranzo consumato in mensa con una compagna mi sono blindata in camera a studiare. Aria condizionata a manetta, dalla una alle quattro meno un quarto non mi sono fermata un attimo.
Questo weekend andiamo a fare una gita in pullmann, per la verità ne riempiamo due, meta la Mongolia. La Mongolia Interna, quella che è stata annessa alla Cina.
Oggi briefing generale: vengo a sapere che è inclusa una puntata a Da Tong, località che avrei dovuto visitare nove anni fa quando mia madre è ..... ma lasciamo perdere i tristi ricordi.
Dunque si va anche a Da Tong. In Mongolia di notte farà un freddo cane, Elena, un'altra compagna italiana, mi ha promesso di prestarmi la sua felpa per l'occasione.
Domattina mi alzo prima, devo ancora studiare un pezzo.
Sesta puntata:
15 luglio 2011
Ho preparato lo zaino, bello grosso, tutto pronto per la partenza. Prima si va a scuola, anzì, prima suona la sveglia di nuovo alle sei e mezzo perché anche oggi ho tralasciato di studiare un pezzo.
Non ce l'avevo fatta più. Dopo quasi tre ore e mezzo ero arrivata al limite. Dovevo uscire per forza.
Fuori il caldo era opprimente. Sul laghetto dondolavano gentili i fiori di loto. Non soffiava nemmeno un leggero alito di vento. La traduzione che stavo facendo era semplice ma pur conoscendo gran parte delle parole mi costringevo a fare delle verifiche meticolose. Decisamente non era giornata. M'aveva persino assalita l'idea di bigiare l'ultimo giorno di scuola e di non presentarmi alle verifiche di fine corso. Che figura magra! Mi sono vista denigrata e resa ridicola dal coro insegnanti. No, decisamente non potevo arrivare a tanto.
Per fortuna era arrivata la compagna italiana per fare due chiacchiere. Mi era parso di essere stata di buona compagnia a mia volta e desideravo esserlo davvero. Avevo bisogno di sentirmi accettata, ad onta dell'enorme differenza di età e in quell'occasione mi era sembrato di esserlo. L'indomani si partiva in pullman, anche lei veniva e io speravo di poter condividere la camera con lei durante il viaggio. Certo non l'avrei potuta biasimare se avesse preferito la compagnia di qualche amica coetanea. “Verrà come verrà” avevo pensato.
Intanto ho preparato la macchina fotografica nuova, ho caricato la batteria ben-bene e ho messo via il libretto di istruzioni da leggere durante il viaggio. Avrei voluto portare anche il libro che sto leggendo: Tokyo blues di Murakami. Alla fine ho optato per il libro di traduzioni - in questo campo sono particolarmente malmessa – così non c'era più posto per il libro giapponese.
Frammenti
Ho ritrovato il venditore di carne di capra – sono fatti alla griglia, cioè dei bastoncini di carne caprina girati sopra la griglia. Stasera ho mangiato in camera: un gran casino, non sapevo come aprire la bottiglia della birra, è fuoruscito un bel po'. Dopocena ho camminato un po', c'è ovunque ancora quel sapore di Pechino che avevo visitato 9 anni fa.
La mia compagna di stanza domani va via per un po', forse nemmeno la rivedrò. Gentile, mi aveva aiutato a comprare il telefonino – non è stato facile nemmeno per lei che è coreana e parla benissimo il cinese. Poi avevamo festeggiato l'evento con caffè annacquato e thé in una minuscola bottega. Il thè era buonissimo, a comprarlo, però, ci ho lasciato un sacco di soldi.
7 luglio 2011
Mi sento soffocare. In tutti i sensi. L'aria condizionata mi toglie il fiato e non si può nemmeno guardare fuori dalla finestra perché c'é la zanzariera.
8 luglio 2011
Sono sofferente. Sento la mancanza dei miei cari.
Ho vissuto la disperazione di chi non può più comunicare con i propri cari.
Settima puntata:
15 luglio Inner Mongolia
Sono quasi ubriaca. Avrò bevuto
mezza bottiglia di birra e sento già che mi basta. Sarà
l'aria.
Lungo la strada, dopo i campi polverosi
della Cina improvvisamente si erano dischiuse le vallate della
Mongolia. Allo stesso tempo il cielo era diventato azzurro laddove
tra le nubi si riusciva ad intravvedere un lembo di cielo. I campi
ispiravano dedizione e amore con i loro colori variegati, mai troppo
verdi, mai troppo smaglianti. Tra le nubi si scorgeva la pioggia che
cadeva perché la nube non la sosteneva più e così
tra un'acquazzone e il sole il pullman procedeva a velocità
sostenuta. Qua e la, nei campi, uomini e donne lavoravano piegati in
avanti. Le loro vesti colorate, rosso o verde, brillavano al sole.
Il campo riservato a noi è del
tutto banale, fatto per i turisti. Eccezion fatta per le tende
mongole, qui tutto è pacchiano, kitsch. Le tende mi piacciono,
a partire dalla porticina in legno pitturato con decorazioni locali.
Lungo la parete circolare un continuo intreccio di bambù. Il
soffitto a cono è sorretto da lunghe liste di bambù, il
cerchio in mezzo è in legno laccato rosso. C'è persino
la luce elettrica: una lampadina “alla vietnamita” (vale a dire
senza paralume) che illumina tutt'intorno. Il pavimento è
coperto da una pedana, salvo un metro quadro scarso per chi entra.
Sulla pedana è poggiato un materasso intero dove si dorme in
sei. Per il momento le coperte sono piegate lungo il muro e in bel
mezzo al “kang” vi è un bel tavolino basso, laccato rosso
e decorato con un drago d'oro, anzì, con due draghi d'oro.
C'è la luna piena stanotte,
niente Via Lattea, c'è troppa luce nel cielo. Vado a letto
presto, ci alzeremo alle quattro per vedere il Sole che sorge.
Ottava puntata:
16 luglio 2011 Datong
Sono in un albergo a quattro stelle -
dalle stalle (mongole) alle stelle (quattro) di Datong -, mi sono
fatta la doccia e sto bevendo il secondo caffè da quando sono
qui. Dunque sto gustando un indecente caffè liofilizzato ma la
sola idea che sia gratis me la fa piacere subito. Sono scompagnata
(era la cosa che più temevo in questo viaggio), non perché
sono brutta, vecchia e cattiva ma semplicemente perché c'è
chi sta peggio di me. Io almeno me la cavo in ogni situazione. La mia
compagna di turno è giapponese. Le avevo lasciato scegliere il
letto a lato finestra ma poi la prima doccia era per me. Dunque il
caffè fa schifo. Mi piacerebbe correggerlo con la grappa dei
mongoli. Ce l'avevano fatta assaggiare ieri e io oggi, dopo la
sfacchinata matutina, me la sono comprata.
Nel programma di quelli che andavano a
cavallo per non meno di due ore era prevista una visita al vicino
villaggio mongolo. Io avevo portato con me una canotta nuova, troppo
piccola per me, con l'intenzione di sbarattarla con qualcosa di loro.
Una cosa qualsiasi, purché fosse fatta da loro. Mentre gli
altri partivano a cavallo – per me di cavalcare non se ne parla,
primo perché non ci provo gusto, secondo perché mi fa
venire mal di schiena – dunque io e i miei compagni che avevo
tirato in ballo li seguivamo a piedi.
Sarà perché la sera prima
un gruppo di turisti aveva fatto arrabbiare gli organizzatori, sarà
per qualche altro motivo, fatto sta che del villaggio non v'era
neanche ombra. Avevamo dovuto accontentarci di due belle tende
mongole allestite a bella posta per i turisti e di una giovane donna
in costume tradizionale. Ci avevo impiegato metà di un secondo
per capire che era questo di cui si trattava e per reprimere la mia
crescente delusione avevo preso il regalo (la canotta) e l'avevo
messa in mano alla mongola tradizionalista. Lei non capiva cosa
stesse succedendo ma poi per l'educazione l'aveva presa e mentre a
tatto cercava di capire il contenuto del sacchettino di plastica mi
aveva detto un bel grazie e poi l'aveva subito messa via. La
tradizione cinese trova infatti di cattivo gusto aprire i regali
subito come se si volesse verificarne il valore.
Più tardi avevo cercato di
chiederle della grappa locale, se c'era qualcuno che la vendeva, ma
in quelle lande deserte, seppur stupende, non c'era nessuno che
raccogliesse la frutta per farne della grappa e per bersela. Avevo
fatto tutta sta strada per andare a finire di comprare la grappa
industriale al chiosco per turisti.
Ora la stanza dove scrivo è d'un
hotel a quattro stelle, ai piedi le belle pantofole imbottite
dell'albergo, in bocca ancora il sapore del caffè appena
bevuto. Ormai ho poche illusioni, nutro poca speranza di assaporare
qualcosa di autentico in questa Datong che nove anni fa non avevo
potuto visitare.
Nona puntata:
17 luglio 2011 - Pechino
Sono rientrata all'università
dopo la gita di due giorni e mezza. La camera mi ha accolta con la
sua familiarità, la doccia era rinfrescante come al solito.
Prima non avrei potuto immaginare di trovare piacere entrare in
questa stanza. Le cose cambiano, sto cambiando anch'io. Trovo, ad
esempio, piacevole riavere le mie cose, la mia privacy, le cose cui
mi ero abituata in queste due settimane e mezzo. Vivere lontano dai
cari è duro. Tuttavia man mano che si scoprono dei piccoli
piaceri come questo ritrovamento del proprio alcove, ecco che i morsi
della nostalgia perdono potere. Continuano ad esserci ma non sono più
loro i padroni del bello o brutto tempo.
Sono stata in gita con gli altri
studenti, un giorno in Mongolia (la parte cinese) e uno a Datong,
capitale dell'imperatore mongolo Wei e della sua non breve dinastia.
Tutti i popoli avevano sofferto le
scelte dei loro governatori. Quelle di Wei erano le meno spiacevoli
da subire; avevano solo dovuto convertirsi al buddismo. Stupendo.
Farei la firma. La scelta di introdurre il buddismo nel regno della
grande uguaglianza (Datong) era servita per sedare la popolazione,
allora troppo turbolenta.
Era troppo tardi, quando circa
cent'anni dopo, una discendente aveva capito che il popolo buddista
smise sì di essere un pericolo sociale ma nel contempo smise
anche di lavorare.
Sotto il cielo non lavorava più
nessuno. Tutti in preghiera e meditazione. Fantastico.
Il seguito era caos, roghi, uccisioni
delle guide spirituali e poi la magnificenza delle immagini dei
cinque imperatori consecutivi a misura sovrumana, scavati
direttamente nella roccia della montagna.
Doveva essere un evento come l'eclisse
nell'Antico Egitto. Il popolo – quello scampato ai roghi – di
fronte a simile monumentalità doveva sentirsi meno di uno
scarafaggio.
Oggi nessuno ha tempo per domandarsi
come ci si sente.
Decima puntata:
18 luglio 2011 - Pechino
Bevuto un po' di grappa dal lungo tappo
della bottiglia. La grappa, detta liquore bianco, è forte ed è
leggermente aromatica. Me la sono meritata.
Oggi avevo avuto paura di dover subito
rientrare in Italia. Proprio oggi che avevo saputo che potevo
rimanere all'università per un altro mese, facendo un altro
corso di quattro settimane. Ero al top del top, si sentiva la mia
sicurezza mentre istruivo tre bolognesi novellini, impauriti e
spaesati a districarsi tra i vari edifici. Già ieri sera ero
piena di speranze per il prossimo futuro qui che includeva la
sicurezza del campus e la garanzia dei risultati scolastici.
E' stata una doccia fredda. Non è
stato un dolore improvviso che, in quanto tale, non ti fa male,
almeno al momento. No, questo è stato un continuo insinuarsi
di speranze e di disillusioni, di certezze e di dubbi striscianti che
ti ledono la fiducia nell'universo passo dopo passo. Ero crollata,
ancora una volta, ho pianto e ho reclamato verso l'alto dove si trova
qualcuno più alto di un essere umano.
La soluzione, invece, è stata
istantanea. Dato che non potevo usare il bancomat che uso solitamente
in Europa e la carta di credito era rimasta senza pin code,
praticamente ero impossibilitata a prelevare dal mio conto. E' stata
Milena, una dolce ragazza serba, a dirmi che potevo comunque pagare
le spese grosse con la carta di credito.
Quanto è piccola una persona che
ha perso la fiducia: io mi ero sentita meschina, una persona indegna
cui veniva tesa una mano. “Dio è grande” pensavo mentre mi
accingevo a raggiungere gli amici per la cena.
Frammento
Immagine di uno dei cinque Budda giganti
Fotoricordo
La macchina fotografica era scarica. Il cellulare pure.
Undicesima puntata - Diario di Pechino
19 luglio 2011 - Pechino
Questa è stata la
giornata più strana da quando sono qui. Fin dalla mattina
avevo problemi di diarrea acuta. Avevo fatto una fatica boia a
studiare. Gli esami, poi, avevano entrambi smentito le previsioni:
quella scritta, detta la difficile, è risultata piuttosto
facile mentre l'orale, quella facilissima, si è rivelata
ostica.
Per pranzo avevo voluto
accontentarmi del brodino di riso per arginare la diarrea. Poi avevo
dormito. Sodo. Un'ora.
Più tardi ero andata
all'internet point, dove avevo sbattuto via novanta minuti della mia
vita. A dire il vero il mio problema era piuttosto quello di avere
troppe ore di cui non sapevo cosa fare. Novanta minuti in meno
significavano un pezzo di problema in meno. Che tristezza! Ritornata
nella mia camera la sua evidenza era inevitabile. Che tristezza, non
aver modo di scrollarsela di dosso. A quel punto avevo pianto.
Da un lontano universo mi
era arrivata l'idea che avrei potuto anche mettermi a leggere. Ho un
libro che avevo già letto, di cui mi ero scordata del tutto.
A leggerlo mi viene una sensazione di serenità benchè
l'argomento sia tutt'altro che sereno. Letto appena alcune pagine già
m'era venuta voglia di scrivere delle mie sensazioni, delle mie pene
e speranze. Benchè ciò non fosse realizzabile, lo stato
d'animo era quello.
Capisco che sono proprio le
difficoltà oggettive a mettermi K.O. Infatti, dopo aver
incontrato un'amica e aver invano tentato di prelevare al bancomat,
mi erano completamente spariti i buoni propositi lasciando il campo
alle frustrazioni e al malessere.
Per scrollarmeli nuovamente
di dosso decisi di andare al mio ristorantino preferito. Lungo la
strada continuavo a sbirciare il cieldo, sempre più nero,
tanto da fare gli ultimi metri di corsa.
La pioggia giunse assieme ad
un buio pesto. Era bello guardarla dalla finestra, mentre mangiavo
una bella coscia di pollo. Continuavo a guardarla tutto il tempo come
se ciò potesse servire a farla smettere.
Una volta uscita mi
aspettava la cruda realtà; è stata un'impresa
attraversare la strada e chiedere un passaggio sotto l'ombrello di
una passante, fino alla fermata dell'autobus, a pochi metri di
distanza. Una volta scesa dall'autobus, mi toccava fare un altro
"ombrella-stop" e quando finalmente ero arrivata
all'entrata del campus, ormai da sola, ero riuscita ad abbandonarmi
allo scrosciare dell'acqua, bagnandomi come un pulcino. L'aria della
sera era tutt'altro che fredda e una volta in camera, liberatami
dagli indumenti fradici e fattami una bella doccia calda, ho
finalmente sentito di tornare a vivere nella realtà.
Dodicesima puntata:
20 luglio 2011 - Pechino
Ho ritirato la pagella: orale 81/100,
lettura: 65,5/100 ... ok.
Mi sono iscritta al nuovo corso che
inizierà tra una settimana. Nel frattempo parola d'ordine:
relax.
Ci hanno preparato una bella cena nel
ristorante più elegante del campus e ci hanno distribuito le
pagelle. La cena era ottima, intorno il chiacchiericcio era
interminabile, tutti eravamo di buonumore. Poi è stato duro
separarci, eravamo rimasti a ciondolare nell'atrio per un'ora e
ancora non ci andava di dividerci e così avevamo deciso di
accompagnare a casa uno di noi. Era stata la pioggia con la sua
improvvisa comparsa a metter fine a tutto ciò.
Io avevo, come sempre, birra e grappa
in camera. Dopo un'attesa interminabile le due amiche italiane erano
venute a trovarmi. Il discorso scorreva piacevolmente tra i vari
posti da visitare e i libri che avevamo letto o evitato di leggere
per svariate ragioni. Nel guardarle mi sembrava di vedere me stessa
alla loro età, sempre pronta a discutere di qualcosa, di
informarsi su qualcos'altro, di apprezzare qualcos'altro ancora.
Quella che sembrava di aver avuto più esperienze aveva la
lingua destinata ad essere il canale dove scorreva il materiale
cerebrale IN and OUT. Gli interessi toccavano i 360 gradi, che si
trattasse di come contrattare sui prezzi o di come distinguere un
buon libro.
Ero affascinata di tanta vitalità
e mi sentivo soddisfatta per aver avuto anch'io a mia volta, la sua
stessa modalità e esperienza. L'invidia non c'entra, ero
semplicemente deliziata al solo partecipare a questo processo.
Tredicesima puntata - Diario di Pechino:
21 luglio 2011 – Pechino
Dopo pranzo
Tra poco mi tocca andare a fare un
colloquio di lavoro. Qualche giorno fa sono stata fermata da una
signora cinese che mi aveva proposto un questionario che riguardava
la possibilità di andare a insegnare inglese.
Pensavo si trattasse di qualche stupida
scuola serale privata invece mi hanno telefonato dall'Università
di Pechino e così mi tocca provarci. Tanto non mi prendono di
sicuro, provarci non costa.
Dopo cena
Dopo il colloquio quanto mai scarso (mi
hanno semplicemente chiesto l'orario di disponibilità) io e le
immancabili amiche italiane siamo tornate al campus a piedi – stavo
per scrivere “tornate a casa a piedi” !
Per ringraziarle di avermi accompagnata le ho offerto del vero caffè italiano nel bar sotto casa (!)
Per ringraziarle di avermi accompagnata le ho offerto del vero caffè italiano nel bar sotto casa (!)
Ci avevo impiegato un bel quarto d'ora
ad insegnare alla ragazza come si fa e adesso è felice quando
mi consegna uno specie di espresso; un po' di liquido denso e scuro
in fondo a un bicchierone. Il caffè è dell'Illy e poco
male se hanno finito quello rosso e mi servono il decaffeinato; darei
un bacio a chi lo ha fatto venire dall'Italia.
Le amiche non volevano accettare ma io
oggi mi sento ricchissima per il semplice fatto che ho trovato una
banca che mi fa finalmente prelevare. Come se non bastasse, dato che
erano le quattro del pomeriggio, il prezzo è sceso da nove a
sei kuai* – dalle due alle cinque l'Illy lo bevo scontato del
trenta percento.
* un kuai vale circa 8 centesimi
Quattordicesima puntata - Diario di Pechino:
22 luglio 2011 – Pechino
Ieri ero tornata dalla discoteca alle
quattro. Non mi ero accorta di aver ballato per ore. Mi sentivo
talmente a mio agio, la stanchezza era volata via.
Nel locale la luce era al minimo.
Tuttavia si distingueva un bell'uomo da uno brutto come pure una
bella ragazza giovane da una come me. Eppure sono stata coinvolta in
balli a due a più riprese, ho sentito il battito cardiaco del
ragazzo cinese, ho strusciato fondoschiena contro fondoschiena con un
altro ragazzo orientale e con quello africano. Ho sentito il
divertimento puro ma anche l'agressività del cinese respinto,
ho persino avuto paura. Tutto nero nella sala nera, gli occhi due
fessure, movimenti completamente fuori tempo, eppure per un attimo mi
sono trovata proiettata nella mia stessa giovinezza.
A casa, dopo la doccia, non riuscii a
prendere sonno e così, tirato fuori “Tokyo blues”, mi ero
messa a leggere per un po. Dormii facendo sogni strani e poi, durante
il giorno, fino a quando non partimmo per questa esplorazione, non mi
sentii a posto.
Il programma era concentrato sull'Art
Gallery all'aperto, in un'area industriale dismessa. (Io veramente
speravo di ritrovare quella situazione in cui, anni fa, riuscivo a
portare via un bel quadro per pochi soldi. Il quadro lo ammiro tutti
i giorni, essendo appeso vicino al mio letto.)
Il tempo era pessimo. Non pioveva ma
era piuttosto buio e si poteva spremere la nebbia per farne uscire
l'acqua. Io grondavo di sudore. Le esposizioni erano uno più
diverso dall'altro, senza un filo conduttore, alcuni erano
addirittura geniali, altri erano poco più che una bottega di
artigianato di basso livello. V'erano dei quadri enormi,
coloratissimi stile Kokoscka, altri metafisici, altri ancora
postmoderni.
Avendo mangiato poco, camminato tanto,
eravamo piuttosto distrutti quando finalmente siamo arrivati a casa.
Mangiato una banana, fatto la doccia, mi ero concesso un'oretta di
lettura. Quando poi uscii per cena, s'aggregarono due amici
pachistani che per tutto il tragitto non facevano che farmi domande
sull'Italia. Era tardissimo, a giudicare dai crampi allo stomaco,
quando finalmente arrivammo davanti al locale di loro gusto.
Dopo cena il ritorno a casa sembrava di
nuovo interminabile. Entra in un cortile, esci dal cortile, viale a
destra, viale a sinistra, bambini che scorrazzavano sulle loro
skateboard nuove, innamorati mano nella mano, noi tre soli a parlare
di politica nella notte buia.
Quindicesima puntata - Diario di Pechino:
23 luglio 2011 – Pechino
Ho comprato la tessera del tram
(veramente di tram qui non c'è ne nemmeno uno).
Quando mi avevano chiesto quaranta kuai
al posto dei venti previsti non mi ero ricordata dello student's
card che m'avrebbero fatto avere
lo sconto, avevo pagato i quaranta kuai e basta. Ero già sulla
metrò quando mi ero data della cretina ma ormai era troppo
tardi.
Ok. Sono andata in centro. Mai più!
Per cambiare metrò abbiamo fatto mezzo chilometro in fila
indiana, in fila per sei, s'intende. Grondavo sudore da ogni parte.
La metrò, poi, era gelata naturalmente. Wang Fujin è
una delle vie del centro più visitate in assoluto. Sta a est
dalla piazza Tian An Men. “A est”
come dicono qui a Pechino, mica “a destra” come diciamo noi
comuni mortali. La libreria che cercavo era una delle più
vecchie e poi, forse, non si trovava a est bensì a ovest dalla
famosa piazza. Dipende dai punti di vista.
Può
esservi qualcosa famosa per la tristezza? Tian An Men lo è. I
cinesi che affollano la piazza forse neanche se lo ricordano. Al
posto della memoria celebrativa avranno la memoria dell'anatra
all'arancia. Non avrei dovuto pensarlo così ma in certi
momenti è inevitabile farlo.
Finito
di comprare i libri e i dvd era ora di pranzo. Avevo scovato una
trattorietta con la promessa di cibo fatto secondo l'usanza della
casa quindi ordinai dei ravioli e un piatto con le verdure. I ravioli
risultavano essere davvero fantastici (all'interno v'era del ragù
a base di agnello) e il piatto con le verdure (peperoni e cipolle)
conteneva pezzi di pesce in salsa agro-non-so-che. Era tutto
buonissimo. L'unico problema era che i ravioli erano venti e il
piatto a base di pesce bastava per tre.
24 luglio 2013 - Pechino
Anche oggi ho preso un impegno in
città: sono andata a visitare un vecchio hutong. Me ne ha
parlato tempo fa una signora e stranamente mi era rimasto impresso
nella memoria il nome della fermata. Di metrò ce ne sono tante
ma fermata con quel nome fortunatamente ce n'era una sola.
La nebbia era viscida e mobile, forse
ancor più di ieri, tempo ideale per gironzolare nei hutong –
pensavo.
Nove anni fa ne avevo visitata una che
era in condizioni assai più spregevoli. Ricordo i carrettini e
i bambini che correvano su e giù. Adesso invece c'erano delle
toilette ad ogni entrata e le vie erano sgombre e pulite. Non così
gli alloggi: bastava entrare in uno dei cortili che ne inglobavano
alcune che l'ordine della strada fosse subito un lontano ricordo.
Le entrate delle singole abitazioni, i gradini, le porte erano in un
disordine inimmaginabile, per non parlare della sporcizia, dei panni
stesi, della robivecchia. Cerchioni di biciclette, poi le biciclette
stesse buttate lì in un androne dal disegno raffinato e da un
intonaco putrefatto.
Ve n'erano pure delle eccezioni: con
sforzo disumano si conservava dell'antico e si dava la cura
necessaria ad alcune piante, quasi a contrastare la massiccia
presenza del caos.
Perdersi in un hutong è
facilissimo. Ho represso in più occasioni la solita voglia di
percorrere qualche scorciatoia, preferendo la riluttante ovvietà
dello percorrere le stesse strade a ritroso. Come premio non solo non
mi sono persa ma ho fatto in tempo a raggiungere le amiche per il
pranzo.
25 luglio 2013 - Pechino
L'ho fatta grossa. Stavolta ho
sbagliato e in più non c'è modo di tornare indietro.
Avevo fatto una sfilza di errori: avevo
pagato con la carte di credito perchè ero bagnata e non volevo
fare la fila in banca. Ero bagnata perchè avevo capito male
dove dovevo andare così ero dovuta ritornare indietro. Avevo
pagato con la carta e quando l'impiegata mi aveva mostrato l'importo non ci
avevo fatto caso che al posto di 3.500 yuan stavo per pagare 5.300
yuan. Ero stanca, bagnata e avevo fretta di finirla.
La cifra poi risultò essere
corretta perchè mi ero iscritta a un corso intensivo con
cinquanta percento di lezioni in più. Mi ero iscritta al
corso intensivo perchè al momento di compilare il modulo avevo
fretta ed era la terza volta che mi chiedevano qualche nuovo
documento da esibire. Avevo fretta perchè avevo paura che mi
potessero rifiutare per qualche motivo. Così avevo sbarrato la
casella delle quattro settimane, sapevo che c'era anche un corso di cinque
settimane – da evitare, e non mi ero curata di verificare altro.
Così eccomi qua con la
prospettiva di immergermi nello studio senza possibilità di
scampo. In fondo sono qui per questo, non è vero?!
C'è stata una pioggia fortissima
stamattina. Gli ombrelli non sevivano più di tanto. Le scarpe
calpestavano litri d'acqua prima di toccare terreno e il vento
infilava i raggi di pioggia ben sotto gli ombrelli. Più tardi
il sole ha fatto capilino per un attimo per poi minacciare di nuovo
pioggia, alternandosi così per un bel po'. Infine, verso il
tramonto, abbiamo potuto respirare: c'era sole e aria fresca, un
gioiello insperato.
I balconi dei dormitori si sono subito
riempiti di panni stesi ad asciugare. Il mondo intero ha riaperto i
polmoni per respirare l'aria pura.
26 luglio 2013 - Pechino
Oggi abbiamo visitato il
tempio La Nuvola Bianca.
La prima cosa che mi aveva
stupita era la mancanza di folla. Oltre a noi tre, all'entrata non
c'era nessuno. Anche in seguito ci sono state delle visitatrici
isolate, qualche uomo ma nulla al confronto con altri posti. Il yuan
(corte, corile) è tutt'ora attivo, qua e la s'intravvedevano
delle abitazioni, qualche monaco s'affrettava verso altri cortili e
così via. In un luogo sperduto, ad onta del silenzio e del
"tutto chiuso" s'intuiva la funzione degli edifici grazie
alla presenza di cassette della posta.
Oggi il cielo era luminoso e
alto, il sole emetteva i suoi raggi violenti, l'ombra era fitta e
buia.
Nei numerosi templi che si
susseguivano si continuava a sentire l'odore dell'incenso che
bruciava negli appositi fornelli all'esterno. Non li ho contati ma
erano sicuramente oltre una ventina, ognuno dedicato a un personaggio
o divinità specifici. In uno, oltre alla dea principale ve
n'erano altri sessanta: la combinazione dei Dieci Tronci Celesti con
i Dodici Rami Terestri.
In un cortile, poi, si
trovavano i bassirilievi dei dodici segni dello zodiaco cinese.
Accanto v'erano ventiquattro immagini che rappresentavano la vita di
alcuni uomini illustri del passato.
Una volta terminati i templi
ci si ritrovava in cortili e sistemi di cortili piuttosto complessi.
V'erano dei passaggi coperti, piccole montagne reggenti pagode,
palazzi di abitazioni. Il tutto sotto un sole cocente mentre fuori si
svolgeva la solita giornata di frenesia e di caos.
Diciannovesima puntata: Diario di Pechino
28 luglio 2011 - Pechino
Da giorni, otto per la
precisione, esco di mattina presto e non torno che nel tardo
pomeriggio. Mi stanco abbastanza e poi tutte le sere devo fare il
bucato perchè si suda molto e io mi cambio spesso.
Oggi sono tornata nel grande
bookshop sulla Chang 'An avenue. Ieri me l'ero ricordato piuttosto
bene, dopo nove anni, persino il lato della strada dove avrebbe
dovuto trovarsi.
Sono ritornata perchè
ieri, alla fine di una lunga ricerca, sono riuscita a sbagliare
libro: al posto di uno per violoncello avevo comprato quello per
ghitarra. Una spiegazione c'è, c'è n'è sempre
una, quello per ghitarra era lì per sbaglio su quello
scaffale, la ghitarra ad un'occhiata superficiale potrebbe sembrare
un violoncello e poi era un libro per principianti, cosa che mancava
sullo scaffale degli altri strumenti.
Dunque sono tornata.
Riportare un articolo con la confezione intatta, correlato da
scontrino non dovrebbe essere un problema. Dalla cassa, invece, mi
hanno spedita in ufficio spiegandomi che "solo" dopo aver
espletato le dovute funzioni si poteva acquistare il libro nuovo.
Uhm, io il libro nuovo ce l'avevo già in mano.
La pedanteria è
un'eredità del regime socialista. Io pure fatico a reprimere
l'istintiva maestrina che è in me. Confesso che ogni volta che
vedo una benchè minima manchevolezza mi viene subito da fare
la predica. Non poterlo fare mi da non poca frustrazione.
Sulla metrò, prese in
capolinea, ci siamo seduti quasi tutti. Una giovane signora con tre
pacchi e la sua ragazzina sono rimaste in piedi. Guardavo la madre
che s'asciugava il sudore e non appena ho potuto ho chiamato la
ragazzina per dar loro il mio posto. Quanto sono rimasta indignata
quando a sedersi è stata la ragazzina mentre la madre era
rimasta in piedi con i tre pacchi in mano!
P.s.
Non riesco ad aprire la
bottiglia, la porta con la chiave elettronica, il computer di Elena,
non riesco a fare bene il numero di telefono etc etc. In compenso
viaggio con i mezzi che è una meraviglia.
Ventesima puntata: Diario di Pechino
29 luglio 2011 - Pechino
"Il dado è
tratto" sono iniziate le lezioni. Sono in Classe C, è
forte, anzì, è fortissimo. La sfida in questo campo mi
sprona, non mi abbatte. Sono in (quasi) pieno possesso delle mie
facoltà.
Domani andiamo in gita sulla
Grande Muraglia. Intanto fuori piove di nuovo. Stavolta sta cadendo
una pioggia fitta, l'aria è fresca, non c'è nebbia nè
troppa umidità. E' un piacere passeggiare nei viali semibui,
mentre le macchine sfrecciano via, lasciando una scia di goccioline.
Ho fatto un largo giro , la pancia è ben piena, sono arrivata
a Wuadokou ("incrocio di cinque vie") e ho guardato passare
un treno notturno. Sfilavano i vagoni con le cucette, qualche faccia
insonnolita dietro le finestre.
Come sempre mi ha preso la
nostalgia, la voglia di andar via, lontano da qui. Oramai mi è
rimasto solo questo piccolo lembo di nostalgia, mentre per il resto
sono ben felice di essere al mondo, orientale o occidentale che sia,
non ha più tanta importanza. Ciò che mi manca non è
tanto il paesaggio o un clima migliore. No, in questi momenti mi
mancano le persone, i miei cari, la mia vecchia gatta malata. Le loro
voci, quando mi telefonano, mi fanno sentire degna di essere su
questa terra come se, in assenza, mancasse l'approvazione della mia
persona tutta.
Tuttavia non si tratta di
mancanza di autostima; con duro lavoro me la sono conquistata, non ho
bisogno che altri confermino la validità della mia esistenza.
Qui però sono persa, i miei valori all'improvviso hanno perso
la loro quotazione in borsa, da queste parti non vengono
riconosciuti. Mi sembra di fare uno sforzo al limite della
sopportazione per potermi conquistare, a poco a poco, ciò che
non ho più. Sto lavorando sodo, con le mie continue ricadute,
momenti in cui di nuovo tutto ha perso il suo valore e io sono nuda
davanti al mondo intero.
Ventunesima puntata: Diario di Pechino
30 luglio 2011 – Pechino – Grande Muraglia - Pechino
Stamattina sono corsa fuori
quasi in pigiama per comprare lo yoghurt, ma prima delle otto non
apriva nessuno. Sono tornata con la coda tra le gambe e ho deciso di
impadronirmi di una delle tante confezioni di yoghurt della mia
compagna di stanza.
Lei è così:
tutto quello che compro io è troppo caro. Lei si riempie il
frigo con la sua roba, quella non è troppo cara.
Pomeriggio, appena toranata
dalla Grande Muraglia, mi ero preparata per uscire di nuovo. Alle tre
passate andare alle rovine del Palazzo dell'Estate era, invece,
troppo tardi – secondo lei. Qualcosa è sempre troppo, quando
si tratta di me. A conferma di quanto mi stava dicendo, aveva
sfogliato una guida nella sua lingua (coreana) per poi doversi
correggere "Il Palazzo dell'Estate non chiude alle 16.30, bensì
alle 17.30".
Dunque stamattina ho
mangiato uno dei suoi yoghurt. L'autobus non aspettava l'apertura del
negozio, siamo partiti alle 8.20 circa.
Usciti da Pechino c'eravamo
diretti verso nord. Abbiamo viaggiato per due ore buone quando,
all'improvviso, sbucò una torre della Muraglia dal niente. Ad
accoglierci la solita scena colorita: venditori di ogni specie di
cose più a meno a buon mercato che tentavano di accaparrare la
nostra attenzione.
Io, Eva e Maria eravamo tra
i primi a prendere la funivia. Lassù iniziò una
sterminata camminata, intervallata ad ogni piè sospinto dalla
sosta per le foto. Odio le foto. Le scatto anch'io ma quando mi rendo
conto che diventano più importanti del fatto stesso di essere
lì, mi ravvedo e smetto.
A camminare su quei sassi,
pur in presenza di migliaia di turisti, faceva sentire i passi di
chi, prima di noi, li aveva calpestati. Quanto sudore! Sudavano gli
uomini e anche i cavalli – pensavo.
In Cina non sai mai quanto
c'è di vero in quel che vedi. E' destabilizzante non poter
fidarsi dei propri sensi. Eppure è questa la realtà:
nuovi edifici antichi ad ogni angolo. La Grande Muraglia rifatta per
deliziare gli occhi di noi, turisti, non fa eccezione.
Il sentiero di montagna,
invece, era vero. L'avevamo percorso, inizialmente alla ricerca di un
posto fresco e comodo dove mangiare. Poi in un attimo eravamo
arrivate al punto di partenza dove, se possibile, i venditori erano
ancor più numerosi e ancor più rumorosi.
Ritornata dalla Grande
Muraglia, i miei nuovi amici m'avevano invitata ad andare con loro
allo Yuan Ming Yuan (Palazzo dell'Estate). Me lo ricordavo con
piacere quell'enorme parco con lago, circondato da salici dove avevo
passato un mezzo pomeriggio da sola a guardare le rovine e a sentire
il venticello, nove anni prima.
Stavolta, al posto della
solitudine, v'erano le solite migliaia di turisti ad affollare ogni
dove e prima di arrivare alle rovine dovemmo "ammirare" i
tanti fiori finti, navi finte, per non parlare dei draghi e di altre
cose innominabili e pacchiane.
Le rovine erano ancora lì,
ancora per poco se l'afflusso resta tale. La pietra bianca
abbandonata al sole mi ricordava la Grecia come pure alcuni motivi
decorativi. La forma dei giardini, invece, faceva pensare alla
Francia. Strano miscuglio.
Per ultimo avevamo voluto
vedere una pagoda in marmo bianco dove, dopo aver trovato la giusta
uscita da un vero labirinto, potevi salirvi lungo una scaletta a
chiocciola, posta all'esterno.
"Bene, non ci siamo
stancati invano"– avevo pensato.
Ventiduesima puntata: Diario di Pechino
1 Agosto 2011 - Pechino
Ieri mattina sono andata con Jenny a vedere Jingshan. E' un parco molto bello e grande, giusto dietro la Città Proibita, accanto al parco di Beihai. Il tempo era bello, il sole bruciava già alle nove del mattino. Jenny ci teneva ad arrivare presto per veder cantare e ballare i veri abitanti di Pechino.
Il rumore era assordante ma questo non ha impedito alla moltitudine di divertirsi. Ad ambo i lati della barricata - spettatori e cantanti/ballerini - vi era la stessa gente. Di fatto si verificava qualche cambiamento; qualcuno finiva di cantare, qualcun altro iniziava a suonare. In uno slargo, sotto l'ombra degli alberi, s'alternavano due donne nel ballare mentre lungo il muro (in Cina un muro ci deve essere sempre) v'era la fila di una dozzina di uomini che suonavano l'armonica da bocca.
Non potevano mancare i nostalgici di Mao; il canto era il solito, la mimica pure, cosa ci trovavano di piacevole io veramente non lo so.
Finito di girovagare nel parco di Jingshan, avevamo deciso di andare a vedere pure Houhai ("Mare che sta Dietro") che si distingue da Qianhai ("Mare che sta Davanti") per mezzo di un ponte dalla storia dimenticata.
Sulla cartina la strada era diritta, bastava percorrerla per essere subito lì. In effetti, invece, la strada finiva in uno specie di Hutong dove una vietta non del tutto incoraggiante si perdeva tra le case. Noi ci siamo inoltrate, armate di coraggio, e quando sembrava ormai inevitabile la necessità di tornare indietro, ecco che scorsi un muro parzialmente coperto da alberi e case.
"Proviamo lungo il muro!" - proposi timidamente - non c'è niente da ridere, ero insicura anch'io. Il muro poi si rivelò essere la strada giusta e, una volta percorsa, si usciva dal huton su un viale completamente inondato dal sole.
Houhai è una delle tante meraviglie nuovo-antiche che si trovano a Pechino. Lungo le sue sponde numerosi i caffè e i Tea-house. Percorrerla tutta ci ha messo una tale fame; Jenny conosceva un bel ristorantino lì proprio vicino.
2 agosto 2011 - Pechino
Continua lo studio estenuante. Lezioni fino le tre, poco svago e molto studio fin quasi l'ora di cena. La mattina mi alzo presto e studio mezz'ora prima di andare in classe.
Fuori il tempo si sta stabilizzando. Anch'io mi sto adeguando al clima ma oggi, verso sera, l'umidità era scomparsa lascando il posto a un tramonto mozzafiato.
Con il gruppetto bolognese (tre persone) siamo andati a cena in un ristorante di poco conto, mi è dispiaciuto non aver insistito a portarli in un posto più decente.
Continua lo studio estenuante. Lezioni fino le tre, poco svago e molto studio fin quasi l'ora di cena. La mattina mi alzo presto e studio mezz'ora prima di andare in classe.
Fuori il tempo si sta stabilizzando. Anch'io mi sto adeguando al clima ma oggi, verso sera, l'umidità era scomparsa lascando il posto a un tramonto mozzafiato.
Con il gruppetto bolognese (tre persone) siamo andati a cena in un ristorante di poco conto, mi è dispiaciuto non aver insistito a portarli in un posto più decente.
Ventiquattresima puntata: Diario di Pechino
Domani andremo in gita per il weekend. Sono poco convinta e mi dispiace aver ceduto.
Avrei voluto rimandarla anche perché
verrà ripetuta tra una settimana o addirittura rinunciarci.
Per completare il quadro è previsto
brutto tempo.
Venticinquesima puntata: Diario di Pechino
5 agosto 2011, sul treno per Luo Yang
Ci siamo sistemati per la notte io e
le due bolognesi, una sotto l'altra. Siamo riuscite ad avere un posto
vicino al gruppo dei tedeschi che stavano sempre tutti insieme. Non è
stato facile ma per fortuna ce l'abbiamo fatta.
Tra poco spegneranno le luci, io mi
sto..... - luce spenta.
Ventiseesima puntata - Diario di Pechino
6 agosto 2011 – Zheng Zhou
Finalmente una doccia.
Siamo tutti stanchi. Troppo stanchi.
L'ultima ora e mezza in pullman, in mezzo al traffico del sabato sera
ce la potevano risparmiare. Non se ne poteva di più.
Frammento del diario del 7 agosto:
“Andiamo per ordine: eravamo partiti
la sera di venerdi e avevamo dormito in cuccetta. Fin qui tutto bene.
Colazione in un hotel a Luoyang, poi via alla volta delle cave.
Le cave sono state fatte intorno al
sesto secolo da una donna, la principessa Wu.
Luo invece è il nome del fiume e, dato
che la città sta al nord del fiume, ha preso il nome Yang (dello Yin
e Yang), quindi si chiama LuoYang.
Le cave erano tantissime; piccole,
grandi e enormi e, salvo due, erano state tutte scavate dall'uomo.
Ivi trovavano posto le statue di Buddha con i saggi e i vari
personaggi tutt'intorno. Alcuni erano molto rovinati altri meno.
Dalle cave la strada per il ristorante
non era lunga. Dopo pranzo ci hanno subito portati al Tempio Shaolin.
Il posto aveva un forte sapore popolano. Statuette kitch e venditori
di souvenir ovunque.
Lo spettacolo shaolin si era svolto in
un palazzo costruito apposta. Spente le luci, si sono susseguiti
numeri di bravura, quasi da circo. Io mi stavo annoiando quando si
era presentato uno dei monaci (un ragazzo) che con un ago doveva
rompere un palloncino che si trovava dietro una lastra di vetro. Dopo
diversi esercizi di concentrazione il ragazzo era partito all'attacco
ma il palloncino era rimasto intatto, mentre l'ago era caduto a
terra. Lui ci ha riprovato altre due volte e, quando nemmeno il
quarto tentativo ebbe successo, ci rinunciò a malincuore.
Ebbe preso il suo posto un altro
ragazzo, presumibilmente già maestro, a giudicare dal color arancio
della sua veste. Anche lui aveva mancato il bersaglio ben due volte
ma alla fine il palloncino s'era rotto con un gran rumore e il vetro
bucato era stato sollevato in segno di trionfo.
Il boato in sala era assordante.
Anch'io avevo respirato a pieni polmoni l'aria del successo. Il
maestro nel frattempo aveva fatto alcuni esercizi, probabilmente per
scaricare la tensione emotiva.
Erano seguite altre bravure poi eravamo
usciti.
Nel parco Shaolin non poteva mancare il
tempio. Come le altre tre o quattro che avevo visitato, era
contorniato da un alto muro, l'entrata principale adornata a dovere.
I cortili interni e i palazzi dedicati ai vari culti erano tenuti in
ordine, molto belli e suggestivi. Ovunque i monaci s'ingegnavano a
vendere la loro merce. Io, come souvenir, mi ero comprato un libro di
preghiere.
Il parco aveva altre sorprese,
precisamente una “Foresta di pagode”. Non avevo capito che pagoda
significasse quella costruzione alta, a forma di cono, che conteneva
le ceneri dei morti, certo non quelli di un monaco qualunque.
Nella “foresta” le pagode si
susseguivano serrate, una in fila all'altra, a spina di pesce o
semplicemente diagonalmente. Uno più diverso dall'altro, uno più
bello dell'altro. Mi ricordava Manhattan, zona Wall Street, vista dal
ponte di Brooklyn. I grattacieli sembravano alberi di un bosco. Sì,
prima dell'undici settembre.
La giornata era stata lunga e il peggio
doveva ancora venire.
Eravamo partiti alla volta di Zheng
Zhou, distante una sessantina di chilometri. Una volta arrivati in
città ci aspettava il caos del sabato sera: un'ora e mezzo a passo
d'uomo. Erano quasi le nove quando, stremati, affamati e sudati,
eravamo arrivati al ristorante. Avevamo mangiato svogliatamente,
lasciando interi piatti di cibo buono e saporito. Non vedevamo l'ora
di fare la doccia e infilarci in uno di quei bei letti dal materasso
morbido.
Ventisettesima puntata - Diario di Pechino
Ventottesima puntata - Diario di Pechino
8 agosto 2011 – Pechino
La gita mi ha insegnato delle cose
fondamentali; ad esempio che non ci si deve stressare oltre misura.
Sono qui da più di un mese e ho ancora tre settimane di studio.
Direi che potrebbero bastare.
Mi do da fare fino all'inverosimile per
rientrare in Italia al più presto. Anche prima di finire il corso.
Ventinovesima puntata - Diario di Pechino
9 agosto 2011 - Pechino
La stanchezza comincia a farsi sentire.
Oggi in classe non riuscivo a concentrarmi. Mi dispiaceva ma era più
forte di me, non capivo niente di quello che diceva il registratore.
A pranzo c'era Jenny con me, del corso
precedente, in partenza per casa. Nel salutarla mi ero commossa,
anche lei.
Casa – che parola magica! Per me casa
è l'Europa; l'Ungheria e l'Italia, l'Austria o la Germania –
importante è respirare l'aria di casa, ovunque si trovi al di là
del Caucaso.
Trentesima puntata - Diario di Pechino
10 agosto 2011 – Pechino
Ho la data del mio rientro in Europa:
partenza primo settembre con l'arrivo il due settembre a Budapest.
Era la strada che mi permetteva di avvicinarmi a casa senza pagare
cifre stratosferiche per un biglietto in business class.
Dunque, il dado è tratto; anch'io
conosco la data del mio volo, anch'io posso fare il count-down: meno
22.
Adesso sono libera di gioire di quello
che ho, del mio studio che progredisce bene, delle mie amicizie con
gli italiani e non solo, del mio poco tempo libero. Posso pensare a
chi devo fare un regalo, a chi solo un pensiero, a chi devo mandare
una cartolina, a chi una mail.
Posso sentirmi bene, senza rancore,
posso guardare i cinesi come solo i turisti sanno fare, posso tornare
alla mia trattoria, fare un po' di spesa per il tempo che mi resta.
Sì, “il tempo che mi resta” è diventato all'improvviso
prezioso, perché è limitato e perché non ne posso sprecare una
goccia. Sto iniziando a fantasticare a come mi mancherà tutto questo
un giorno, come rievocherò ogni minuto del tempo che d'ora in poi
passerò qui.
Ecco quella linea invisibile che ogni
volta che viaggio separa la prima parte quando è tutto interminabile
e di cui non si capisce il fine dalla parte rimanente che in un
attimo vola via. Tutto questo per un biglietto d'aereo che sembrava
impossibile ottenere.
Quando avevo sentito il prezzo, prezzo
molto-molto alto, per un attimo avevo tentennato. In cuor mio non mi
pareva possibile che spendessi una tale cifra per me stessa ma poi mi
ero subito ricomposta e, presa la biro, firmai la quietanza della
carta di credito. Il biglietto diceva: si parte la notte tra 1 e 2
settembre (ora locale). Il volo dura dieci ore.
Da Budapest, passati i cinque-sei
giorni canonici per sbrigare le varie faccende e, goduto della
compagnia di parenti e amici, rientrerò con un altro volo a Milano
l'otto settembre.
Trentunesima puntata - Diario di Pechino
11 agosto 2011 – Pechino
Ho scritto diciannove cartoline e no ho
ancora quattro-cinque da scrivere. La vacanza ha già il sapore del
rientro.
La mia compagna di stanza è tornata a
sorridere. Sarò mica io che sono cambiata e, di conseguenza, intorno
a me tutto è tornato alla normalità?
Tra ventidue giorni torno in Europa –
quasi a casa.
Trentaduesima puntata - Diario di Pechino
12 agosto 2011 – Pechino
Sono tornata nella grande libreria a
Wang Fujin. Ho comprato ancora un libro su I Ching .
Finito di gironzolare m'era venuta fame
e, sapendo che non molto lontano avevo mangiato i migliori ravioli di
Pechino, avevo allungato il passo nella speranza di ritrovare la
trattoria. Essa, un buco di negozietto in una viuzza sporca e
affollata, era ancora lì, la ragazzotta m'aveva riconosciuta e i
ravioli, se possibile, erano ancor più squisiti.
Dopo una bella scorpacciata (ben venti
pezzi) m'ero avviata verso la metrò quando in una piazza avevo
scorto un uomo intento a lanciare un aquilone. Questo, con
un'apertura alare di circa tre metri, era addobbato con luci
colorate, ad intermittenza. Solo quando era già in alto nel cielo,
avevo scorto l'altro aquilone, quindi il suo proprietario. Dovevano
essere amici, tenevano ognuno il proprio rullo e camminavano avanti e
indietro a breve distanza, a seconda delle necessità dettate dal
vento.
Non ero sola io che nel frattempo mi
ero seduta su di un gradino: intorno a me famiglie con bambini e
persone di ogni specie fissavano lo sguardo sui due aquiloni, sempre
più lontani. Grazie alle luci intermittenti si scorgeva la loro
presenza mentre scendeva la sera che tutto copre e rimette a posto.
Trentatreesima puntata - Diario di Pechino
13 agosto 2011 – Pechino
Oggi era sabato – è quasi
mezzanotte. Avevo studiato, fatto il bucato, studiato di nuovo. Verso
sera mi ero messa in cammino, degli amici mi aspettavano in Wang
Fujin.
La libreria di Wang Fujin è
grandissima, di sei o sette piani. Tra gli scaffali gente di tutte le
età è stravaccata per terra o seduta sui tacchi, intenta a leggere.
L'atmosfera è gioiosa e la presenza di una tale quantità di libri
influisce sulla buona predisposizione per la lettura in corridoio,
sistemati alla meno peggio.
I miei amici però mi stavano
aspettando chissà dove... io non li vedevo ma loro erano lì –
così mi assicuravano per telefono – erano lì vicino, all'ingresso
addirittura. Ebbi un'improvvisa illuminazione: “saranno mica in
un'altra libreria?”
Iniziò così un inseguirsi in mezzo
alla folla finché non c'eravamo finalmente riuniti. La libreria dove
loro stavano rovistando tra i libri, dvd e altro era specializzata in
libri in lingua straniera, diversi piani in un vecchio edificio, a
metà altezza della stessa via. La sera era appena agli inizi, una
volta soddisfatta la curiosità c'eravamo spostati in quella grande e
moderna di prima. I miei amici erano reduci di una visita alla Città
Proibita, la stanchezza si percepiva in ogni movimento.
Pechino è immensa, per tornare avremmo
dovuto prendere tre diverse metrò e camminare altri dieci-quindici
minuti. Il taxi è una soluzione ottimale in questi casi; in quattro
la spesa è ridicola e ti portano a casa bella fresca in meno di
venti minuti.
Trentaquattresima puntata - Diario di Pechino
14 agosto 2011 – Pechino
Domani è Ferragosto. Lo so, perché ho letto il Corriere
della Sera, on line.
E’ tutto così lontano. Un sogno. Da qualche parte del mondo
le cose continuano andare avanti sulla loro strada come se nulla fosse
successo. Bagnini che gridano, mamme che pettinano le figlie, ragazzi che si
guardano in cagnesco.
Io, io, io. Io non sono lì.
Eppure quell’Italia io la conosco, sento in bocca il sapore
della pasta al forno, nelle orecchie odo ancora la risacca. Sono morta e sono
su, nel cielo. Guardo l’andirivieni delle cose, sento un pizzico di nostalgia
ma è solo una chimera: io non ho più sensazioni.
E’ stata dura, tremendamente dura, stare qui senza la sicurezza
che tutto questo un giorno finirà. Costantemente temere per il proprio futuro
dove i dubbi e le incertezze avevano l’assoluto predominio su tutto.
Adesso non è più così. Adesso ho la data del mio volo, non è
tanto lontano, e soprattutto so dove sarò, cosa farò. Qualche incertezza c’è
tutt’ora ma è poca cosa. In questa certezza entra pian piano la consapevolezza
dell’altro. Dell’altro mondo, quello cui ero abituata, quello che ritroverò tra
non molto, se Dio lo vorrà.
Quel mondo io l’avevo dimenticato. Non mi ero permessa di averlo
davanti agli occhi, di ricordarmelo con nostalgia. Ero a Pechino e di Pechino
si parlava. Della vita “qui ed ora”. Nemmeno un mezzo pensiero in più. Quando
iniziai a sognare ad occhi aperti l’uomo che non dovrei amare, avevo capito di
essermi allontanata dalla realtà. Sognare proprio lui aveva tutta l’aria di
evadere dal mondo dove mi trovavo e dal momento che stavo vivendo. La mia
capacità di adattamento era arrivata al limite. A quanto pare, per risalire
prima bisogna toccare il fondo. Io il mio fondo l’avevo toccato ad onta di tutta
la mia forza di volontà tesa a non cedere. Avevo ceduto e in quello stesso
momento avevo deciso che volevo salvarmi. Da lì la risalita è stata lenta ma
inarrestabile.
Stasera avevo pensato all’Italia come a una realtà
esistente. Sebbene mi sembrasse un sogno, quel mondo esisteva. Lì c’era una
vecchia gatta malata che mi stava aspettando. Per lei, e solo per lei, sembrava
che io fossi la cosa più importante al mondo. Poi, lentamente, uscirono dalla
nebbia delle persone intente a vivere le loro vita. Per me erano come delle
marionette dietro una tenda. Li vedevo ma loro non vedevano me; io ero
inesistente.
Trentacinquesima puntata - Diario di Pechino
15 agosto 2011 – Pechino
Oggi è grande festa in Italia, giorno indimenticabile.
Oggi, come sempre, sono andata a scuola. Il cielo è stato
buio tutto il giorno, ad intervalli pioveva pure.
“E’ grande festa in Italia, festeggiamola!” – avevo proposto
agli italiani, ma non avevo sortito effetto. Allora, presa dallo scoramento, mi
sono incamminata da sola verso quel viale lunghissimo dove si trovavano, in
ordine di arrivo, la trattoria alla buona dove mangio sempre il pesce, il
ristorante con tutte quelle sale e salette in cima alla scala e poi una serie
infinita di locali e localini dai gusti più svariati che non avevo ancora
conosciuto.
Mi sono spinta lontano e, sull’altro lato del vialone, avevo
superato una trattoria islamica con i tavoli in strada. Gente a quell’ora
doveva essercene tanta ma dall’islamico regnava una grande pace. Proseguendo
avevo visto altri posti più o meno interessanti ma nessuno come l’islamico
m’aveva incuriosita. Tornata indietro mi ero decisa a fermarmi.
Il padrone, con il zuccotto in testa, è venuto a prendere
l’ordine. Avevo chiesto spiedini di agnello (ben cinque!), spiedini di peperoni
e un piattino di verdure fresche, crude. Avendo dimenticato di ordinare del
pane i cinque spiedini di agnello erano finiti in un attimo. Quando ne chiesi
altri cinque, ecco arrivare gli spiedini di peperone, enormi e anche un bel
pane arabo arrostito, fatto a spicchi e condito con poco olio e rosmarino. Infine
arrivò anche il piattino di verdure. Avevo bevuto quasi tutta una bottiglia di
birra di formato grande. Il cibo era quanto mai semplice ma molto saporito. Ad
un certo punto si è avvicinata la padrona, si è seduta e abbiamo cominciato a
parlare. Era una giovane donna, sui …..anta, non saprei precisarlo. Un viso
così bello: occhi grandi e zigomi alti. Le chiesi da dove veniva e lei mi disse
che veniva da una parte a nord-ovest. Quando le chiedevo della famiglia si
emozionava – le mancava tanto la mamma anziana. Ogni volta che tornavano a casa
erano diciasette ore di treno. Io le parlavo dell’Italia, della festa della
nostra Santa… quando lei esclamò: “MA- LI- A! “. Loro, invece, sono musulmani,
sulla facciata del locale è ben visibile una grande moschea. Lei mi diceva che
i musulmani in Cina erano molto numerosi, interi tribù popolosi, che a Pechino
ci stavano bene ma il clima era pessimo, che la figlia grande s’era appena
laureata, che loro avevano tanta nostalgia di casa.
Quando era ora d’andare mi avevano fatto lo sconto e io
avevo promesso di tornare.
Penso di aver degnamente festeggiato il Ferragosto, pur
lontano da casa.
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