Il baretto dove consumavo i momenti più tristi, da sola
14 agosto 2011 – Pechino
Domani è Ferragosto. Lo so, perché ho letto il Corriere
della Sera, on line.
E’ tutto così lontano. Un sogno. Da qualche parte del mondo
le cose continuano andare avanti sulla loro strada come se nulla fosse
successo. Bagnini che gridano, mamme che pettinano le figlie, ragazzi che si
guardano in cagnesco.
Io, io, io. Io non sono lì.
Eppure quell’Italia io la conosco, sento in bocca il sapore
della pasta al forno, nelle orecchie odo ancora la risacca. Sono morta e sono
su, nel cielo. Guardo l’andirivieni delle cose, sento un pizzico di nostalgia
ma è solo un'illusione; io non ho più sensazioni.
E’ stata dura, tremendamente dura, stare qui senza la sicurezza
che tutto questo un giorno finirà. Costantemente temere per il proprio futuro
dove i dubbi e le incertezze avevano l’assoluto predominio su tutto.
Adesso non è più così. Adesso ho la data del mio volo, non è
tanto lontano, e soprattutto so dove sarò, cosa farò. Qualche incertezza c’è
tutt’ora ma è poca cosa. In questa certezza entra pian piano la consapevolezza
dell’altro. Dell’altro mondo, quello cui ero abituata, quello che ritroverò tra
non molto, se Dio lo vorrà.
Quel mondo io l’avevo dimenticato. Non mi ero permessa di averlo
davanti agli occhi, di ricordarmelo con nostalgia. Ero a Pechino e di Pechino
si parlava. Della vita “qui ed ora”. Nemmeno un mezzo pensiero in più. Quando
iniziai a sognare ad occhi aperti l’uomo che non avrei dovuto amare, avevo capito di
essermi allontanata dalla realtà. Sognare proprio lui aveva tutta l’aria di
evadere dal mondo dove mi trovavo e dal momento che stavo vivendo. La mia
capacità di adattamento era arrivata al limite. A quanto pare, per risalire
prima bisogna toccare il fondo. Io il mio fondo l’avevo toccato ad onta di tutta
la mia forza di volontà tesa a non cedere. Avevo ceduto e in quello stesso
momento avevo deciso che volevo salvarmi. Da lì la risalita è stata lenta ma
inarrestabile.
Stasera avevo pensato all’Italia come a una realtà
esistente. Sebbene mi sembrasse un sogno, quel mondo esisteva. Lì c’era una
vecchia gatta malata che mi stava aspettando. Per lei, e solo per lei, sembrava
che io fossi la cosa più importante al mondo. Poi, lentamente, uscirono dalla
nebbia delle persone intente a vivere le loro vita. Per me erano come delle
marionette dietro una tenda. Li vedevo ma loro non vedevano me; io ero
inesistente.