6 agosto 2011 – Zheng Zhou
Finalmente una doccia.
Siamo tutti stanchi. Troppo stanchi.
L'ultima ora e mezza in pullman, in mezzo al traffico del sabato sera
ce la potevano risparmiare. Non se ne poteva di più.
Frammento del diario del 7 agosto:
“Andiamo per ordine: eravamo partiti
la sera di venerdi e avevamo dormito in cuccetta. Fin qui tutto bene.
Colazione in un hotel a Luoyang, poi via alla volta delle cave.
Le cave sono state fatte intorno al
sesto secolo da una donna, la principessa Wu.
Luo invece è il nome del fiume e, dato
che la città sta al nord del fiume, ha preso il nome Yang (dello Yin
e Yang), quindi si chiama LuoYang.
Le cave erano tantissime; piccole,
grandi e enormi e, salvo due, erano state tutte scavate dall'uomo.
Ivi trovavano posto le statue di Buddha con i saggi e i vari
personaggi tutt'intorno. Alcuni erano molto rovinati altri meno.
Dalle cave la strada per il ristorante
non era lunga. Dopo pranzo ci hanno subito portati al Tempio Shaolin.
Il posto aveva un forte sapore popolano. Statuette kitch e venditori
di souvenir ovunque.
Lo spettacolo shaolin si era svolto in
un palazzo costruito apposta. Spente le luci, si sono susseguiti
numeri di bravura, quasi da circo. Io mi stavo annoiando quando si
era presentato uno dei monaci (un ragazzo) che con un ago doveva
rompere un palloncino che si trovava dietro una lastra di vetro. Dopo
diversi esercizi di concentrazione il ragazzo era partito all'attacco
ma il palloncino era rimasto intatto, mentre l'ago era caduto a
terra. Lui ci ha riprovato altre due volte e, quando nemmeno il
quarto tentativo ebbe successo, ci rinunciò a malincuore.
Ebbe preso il suo posto un altro
ragazzo, presumibilmente già maestro, a giudicare dal color arancio
della sua veste. Anche lui aveva mancato il bersaglio ben due volte
ma alla fine il palloncino s'era rotto con un gran rumore e il vetro
bucato era stato sollevato in segno di trionfo.
Il boato in sala era assordante.
Anch'io avevo respirato a pieni polmoni l'aria del successo. Il
maestro nel frattempo aveva fatto alcuni esercizi, probabilmente per
scaricare la tensione emotiva.
Erano seguite altre bravure poi eravamo
usciti.
Nel parco Shaolin non poteva mancare il
tempio. Come le altre tre o quattro che avevo visitato, era
contorniato da un alto muro, l'entrata principale adornata a dovere.
I cortili interni e i palazzi dedicati ai vari culti erano tenuti in
ordine, molto belli e suggestivi. Ovunque i monaci s'ingegnavano a
vendere la loro merce. Io, come souvenir, mi ero comprato un libro di
preghiere.
Il parco aveva altre sorprese,
precisamente una “Foresta di pagode”. Non avevo capito che pagoda
significasse quella costruzione alta, a forma di cono, che conteneva
le ceneri dei morti, certo non quelli di un monaco qualunque.
Nella “foresta” le pagode si
susseguivano serrate, una in fila all'altra, a spina di pesce o
semplicemente diagonalmente. Uno più diverso dall'altro, uno più
bello dell'altro. Mi ricordava Manhattan, zona Wall Street, vista dal
ponte di Brooklyn. I grattacieli sembravano alberi di un bosco. Sì,
prima dell'undici settembre.
La giornata era stata lunga e il peggio
doveva ancora venire.
Eravamo partiti alla volta di Zheng
Zhou, distante una sessantina di chilometri. Una volta arrivati in
città ci aspettava il caos del sabato sera: un'ora e mezzo a passo
d'uomo. Erano quasi le nove quando, stremati, affamati e sudati,
eravamo arrivati al ristorante. Avevamo mangiato svogliatamente,
lasciando interi piatti di cibo buono e saporito. Non vedevamo l'ora
di fare la doccia e infilarci in uno di quei bei letti dal materasso
morbido.
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