15 luglio Inner Mongolia
Sono quasi ubriaca. Avrò bevuto
mezza bottiglia di birra e sento già che mi basta. Sarà
l'aria.
Lungo la strada, dopo i campi polverosi
della Cina improvvisamente si erano dischiuse le vallate della
Mongolia. Allo stesso tempo il cielo era diventato azzurro laddove
tra le nubi si riusciva ad intravvedere un lembo di cielo. I campi
ispiravano dedizione e amore con i loro colori variegati, mai troppo
verdi, mai troppo smaglianti. Tra le nubi si scorgeva la pioggia che
cadeva perché la nube non la sosteneva più e così
tra un'acquazzone e il sole il pullman procedeva a velocità
sostenuta. Qua e la, nei campi, uomini e donne lavoravano piegati in
avanti. Le loro vesti colorate, rosso o verde, brillavano al sole.
Il campo riservato a noi è del
tutto banale, fatto per i turisti. Eccezion fatta per le tende
mongole, qui tutto è pacchiano, kitsch. Le tende mi piacciono,
a partire dalla porticina in legno pitturato con decorazioni locali.
Lungo la parete circolare un continuo intreccio di bambù. Il
soffitto a cono è sorretto da lunghe liste di bambù, il
cerchio in mezzo è in legno laccato rosso. C'è persino
la luce elettrica: una lampadina “alla vietnamita” (vale a dire
senza paralume) che illumina tutt'intorno. Il pavimento è
coperto da una pedana, salvo un metro quadro scarso per chi entra.
Sulla pedana è poggiato un materasso intero dove si dorme in
sei. Per il momento le coperte sono piegate lungo il muro e in bel
mezzo al “kang” vi è un bel tavolino basso, laccato rosso
e decorato con un drago d'oro, anzì, con due draghi d'oro.
C'è la luna piena stanotte,
niente Via Lattea, c'è troppa luce nel cielo. Vado a letto
presto, ci alzeremo alle quattro per vedere il Sole che sorge.
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