22 luglio 2011 – Pechino
Ieri ero tornata dalla discoteca alle
quattro. Non mi ero accorta di aver ballato per ore. Mi sentivo
talmente a mio agio, la stanchezza era volata via.
Nel locale la luce era al minimo.
Tuttavia si distingueva un bell'uomo da uno brutto come pure una
bella ragazza giovane da una come me. Eppure sono stata coinvolta in
balli a due a più riprese, ho sentito il battito cardiaco del
ragazzo cinese, ho strusciato fondoschiena contro fondoschiena con un
altro ragazzo orientale e con quello africano. Ho sentito il
divertimento puro ma anche l'agressività del cinese respinto,
ho persino avuto paura. Tutto nero nella sala nera, gli occhi due
fessure, movimenti completamente fuori tempo, eppure per un attimo mi
sono trovata proiettata nella mia stessa giovinezza.
A casa, dopo la doccia, non riuscii a
prendere sonno e così, tirato fuori “Tokyo blues”, mi ero
messa a leggere per un po. Dormii facendo sogni strani e poi, durante
il giorno, fino a quando non partimmo per questa esplorazione, non mi
sentii a posto.
Il programma era concentrato sull'Art
Gallery all'aperto, in un'area industriale dismessa. (Io veramente
speravo di ritrovare quella situazione in cui, anni fa, riuscivo a
portare via un bel quadro per pochi soldi. Il quadro lo ammiro tutti
i gironi, essendo appeso vicino al mio letto.)
Il tempo era pessimo. Non pioveva ma
era piuttosto buio e si poteva spremere la nebbia per farne uscire
l'acqua. Io grondavo di sudore. Le esposizioni erano uno più
diverso dall'altro, senza un filo conduttore, alcuni erano
addirittura geniali, altri erano poco più che una bottega di
artigianato di basso livello. V'erano dei quadri enormi,
coloratissimi stile Kokoscka, altri metafisici, altri ancora
postmoderni.
Avendo mangiato poco, camminato tanto,
eravamo piuttosto distrutti quando finalmente siamo arrivati a casa.
Mangiato una banana, fatto la doccia, mi ero concesso un'oretta di
lettura. Quando poi uscii per cena, s'aggregarono due amici
pachistani che per tutto il tragitto non facevano che farmi domande
sull'Italia. Era tardissimo, a giudicare dai crampi allo stomaco,
quando finalmente arrivammo davanti al locale di loro gusto.
Dopo cena il ritorno a casa sembrava di
nuovo interminabile. Entra in un cortile, esci dal cortile, viale a
destra, viale a sinistra, bambini che scorrazzavano sulle loro
skateboard nuove, innamorati mano nella mano, noi tre soli a parlare
di politica nella notte buia.
Letto!!! hai descritto perfettamente il racconto dal vivo che mi avevi fatto poco tempo dopo essere rientrata da Pechino, quando i tuoi ricordi e sensazioni erano freschissime...la tua voglia di ballare e lasciarti andare e la tua sensazione di essere al posto giusto, con la musica che ti scorreva dentro il sangue in movimento con il tuo corpo, non ricordavo invece il passaggio della paura che hai scritto di aver provato, quella no, ma può darsi che il ricordo ti sia emerso in seguito...o a me è sfuggito questo particolare nel racconto verbale...in tutti i racconti alterni la solitudine che senti materializzarsi a poi sensazioni che ti hanno riempito i sensi, dev'essere un mondo veramente strano, dove si cercano passaggi d'ombrello (racconto precedente) e condivisioni di caffè illy (altro racconto)
RispondiEliminaMi dispiace, non mi ero accorta del tuo commento. Meglio tardi che mai!!!
RispondiEliminaMi ha colpito il fatto che la sensazione di paura non sia rimasta registrata quando te ne avevo parlato, oppure che io volutamente o involontariamente l'abbia tralasciato.
Concordo: è davvero un mondo strano, trovarsi in mezzo a una porzione del miliardo e due di cinesi e sentirsi disperatamente soli è cosa di un attimo.